In Polonia l’aborto è una “concessione” assai rara e possibile solo in poche e particolari circostanze: grave malattia del feto, pericolo per la salute della donna e in caso di stupro.
Alla fine di settembre il Parlamento polacco ha avanzato un disegno di legge che intendeva vietare quasi categoricamente il ricorso all’aborto. Unica eccezione: immediato pericolo di morte della donna. La proposta, avanzata da alcuni gruppi cattolici, ha scatenato un putiferio e una viva e concreta protesta da parte delle donne. A migliaia sono scese in strada per far sentire la loro voce sulla questione.
La protesta è stata così corposa e animata da costringere il Parlamento a fare marcia indietro. Oggi il disegno di legge è stato definitivamente respinto.
L’interruzione volontaria di gravidanza, da quando le donne hanno iniziato ad avere una voce, si è ritrovata al centro di mille discussioni. Da un lato ci sono coloro che la sostengono in quanto essa è espressione della libertà della donna, dall’altro quelli che credono che la vita esista dal momento stesso del concepimento e che necessiti di essere rispettata e tutelata.
“L’abolizione del diritto di abortire per una donna, quando e se lo vuole, equivale a una maternità obbligatoria, una forma di stupro da parte dello Stato.” (Edward Abbey)
Spesso sulla presa di posizione incide significativamente anche la religione. Un esempio ne è proprio la Polonia, un Paese fortemente cattolico e i cui medici spesso si rifiutano di autorizzare l’aborto anche nei casi di evidente pericolo per la madre.
Ultimamente, indipendentemente dal fattore religioso, si riflette sempre più sui diritti dell’embrione. Domande quali “Quando inizia la vita? Quando il bambino acquisisce una coscienza?” si fanno sempre più frequenti.
La questione non è affatto semplice: se una donna ha diritto a decidere del proprio corpo, un bambino non ha diritto alla vita?
Sottolineando che le motivazioni per cui una donna sceglie l’aborto sono molteplici e complesse, quando l’aborto si può considerare giustificato e quando invece esso risulta solo una “scelta comoda”?
Asserire che una donna vittima di stupro non possa ricorrere all’interruzione di gravidanza potrebbe risultare crudele, nonché un’ulteriore violenza psicologia per la vittima. Una donna, abitante di qualche paese del Terzo Mondo, impossibilitata ad usufruire di metodi contraccettivi per divieto o per semplice inconsapevolezza, deve essere condannata a procreare fino allo stremo?
E poi ci sono quei casi in cui, forse, ricorrere all’aborto non è affatto necessario. Quando si usa questa pratica per la “selezione” del sesso. Quando la gravidanza è conseguenza di un semplice atto di superficialità o di irresponsabilità.
“L’individuo è uno, singolo. Nel caso dell’aborto c’è un “altro” nel corpo della donna. Il suicida dispone della sua singola vita. Con l’aborto si dispone di una vita altrui.” (Norberto Bobbio)
Ogni donna ha diritto a scegliere, ma bisogna stare attenti a non abusare di questo diritto.
Ragazze poco più che ventenni che affermano di essere state coraggiose a scegliere l’aborto per non sconvolgere la loro vita, quella del proprio ragazzo e della propria famiglia, perché se avessero scelto l’adozione quasi sicuramente il bambino sarebbe finito nelle mani di cattive persone.
Sostenendo quasi con veemenza questo coraggio per nulla inferiore a quello di altre giovani donne che invece hanno scelto di dare alla luce un figlio.
Oggi esiste un’alternativa all’aborto: l’adozione. Forse questa non garantirà la felicità del bambino, ma questa è la vita. Vivere significa correre il rischio delle difficoltà e delle tragedie. Ma è grazie a queste che siamo esseri umani, da queste nasce anche la gioia e la felicità. E, forse, ogni bambino ha diritto a tutto questo.