Bambini Abarth: un’infanzia sacrificata per l’eccellenza

Dalla parte di chi lotta per essere riconosciuto, dell'essere umano e dei suoi diritti.
Contribuisci a preservare la libera informazione.

DONA

Ricordate le utilitarie di moda negli anni Sessanta? All’esterno erano delle normali Cinquecento o Seicento, eppure sotto il cofano avevano motori truccati, esagerati e roboanti per far colpo sulle ragazze. Avevano un difetto: duravano molto poco.

Paolo Crepet, da Non siamo capaci di ascoltarli, Einaudi, Torino, 2001

Con queste parole lo psichiatra Paolo Crepet non vuole evocare ricordi nostalgici. Vuole parlarci di alcuni bambini. Quei bambini che non possono sbagliare, che devono necessariamente eccellere e primeggiare.

Proprio come accadeva con le Fiat 500 Abarth, Crepet spiega che «i bambini Abarth non si riconoscono dall’esterno ma il loro cervello è stato truccato per farli andare al massimo, costantemente fuori giri».

Bravissimi in tutto ma fragilissimi nella sfera emotiva.

I genitori li spingono ossessivamente al successo e li sovraccaricano di attività con l’obiettivo di stimolare la loro creatività e sviluppare la loro intelligenza. I bambini Abarth non possono permettersi di non raggiungere i più alti risultati, a scuola e fuori dalla scuola. Devono essere competitivi ed efficienti, perché così li vogliono gli adulti. Il loro tempo è scandito da impegni che hanno uno scopo ben preciso: l’eccellenza. L’agenda è piena di appuntamenti, ma questi bambini sono pieni di disagio.

Riempiamo la loro vita d’impegni, trasformiamo il tempo in compiti, e non ci accorgiamo che così lo uccidiamo, il tempo. Per cui un bambino va a scuola, e dopo la scuola c’è la palestra, quindi inglese, poi musica. Fino ad annichilirlo. Ci sono bambini che vivono come amministratori delegati… Tutto questo senza uno scopo, perché sappiamo bene che non c’è nessuna relazione tra una vita così intensamente vissuta e la crescita dei ragazzi. Che ha a che fare piuttosto con il loro grado d’autostima, con la loro capacità di far fronte agli eventi negativi, con le risorse affettive. Tutte caratteristiche che non vengono certo favorite da un’educazione competitiva o da una vita zeppa di cose da fare, appuntamenti da rispettare, traguardi da raggiungere.

Una costante ansia da prestazione prende il posto della serenità propria dell’infanzia.

Il timore di deludere gli adulti è all’ordine del giorno per questi bambini, che si esasperano nello sforzo di dare sempre il massimo. Approvazione, apprezzamento, affetto e amore diventano “premi” per i risultati raggiunti. I bambini Abarth finiscono per sentirsi più amati dai genitori se portano a casa un dieci in matematica, anziché un sette. Di conseguenza, può valere per loro l’equazione scarsi risultati = meno amore. Il prezzo che questi bambini devono pagare per sentirsi più amati è altissimo e spesso conduce a gravissime conseguenze.

Molti dei percorsi che portano un adolescente a farsi del male […] iniziano da una perfezione forzata, da una coazione all’assoluto.

Nella vita dei bambini Abarth il gioco viene sacrificato in nome della corsa verso il successo. I figli vengono allevati come purosangue da competizione. Tutte le attività svolte hanno come unico fine il raggiungimento di grandi risultati. Non c’è tempo per giocare, non c’è tempo per perdere tempo.

Genitori, insegnanti, allenatori, preti hanno un ruolo e una responsabilità: la competizione non è per tutti e soprattutto non seleziona i migliori, solo i meno sensibili. […] La scuola deve essere anche un luogo mite, capace di insegnare a sopravvivere anche a quei bimbi che non vogliono diventare gladiatori ma persone sensibili.

L’autostima dei bambini Abarth viene messa continuamente a dura prova.

Spesso questi bambini, una volta cresciuti, si “rompono”. Proprio come si rompeva il motore truccato della Fiat sopracitata. Può accadere, ad esempio, che i giovani Abarth si blocchino al termine di un ciclo scolastico. Si sentono persi perché non sanno in che altro modo guadagnarsi l’affetto e la stima dei genitori. Si giudicano falliti e si disprezzano. Dubitano delle proprie potenzialità.

[…] Bisognerebbe insegnare ai bambini – per salvarli, per progettare un futuro migliore per la nostra comunità – a perdere del tempo. Che è una gran bella fatica. Perché perdere del tempo non vuol dire né oziare né alienare il tempo. Vuol dire invece declinarlo secondo una dimensione emotiva e relazionale anziché cognitiva. Vuol dire alzare il piede dall’acceleratore […].

A un certo punto ti perdi e non sai più cosa sia davvero importante. Se iniziare a essere te stessə o continuare a collezionare traguardi, a impersonare un trofeo vivente. Perché l’amore non può essere condizionato da un risultato. Perché meriti che ti restituiscano del tempo, il tuo tempo. E se non te lo restituiscono, vai tu a riprendertelo, perché è solo tuo e puoi farne quello che vuoi.

Annapaola Ursini

 

Stampa questo articolo