Sono veramente poche le persone che si ostinano a negare che sia in atto un cambiamento climatico che va verso un riscaldamento dell’intero pianeta, molto più pericolosa è quella schiera che dice che i cambiamenti climatici sono una costante nella storia del pianeta, cosa vera naturalmente ma che viene usata più o meno strumentalmente (o magari si sono autoconvinti per davvero) per ostinarsi a negare che le cause del riscaldamento globale sono antropogeniche. Questa linea di pensiero potrebbe portare a un calo di impegno nel campo degli sforzi per ridurre le emissioni che non ci possiamo permettere, perché se è vero che ormai il cambiamento è in atto e dobbiamo prepararci ad affrontarne le inevitabili conseguenze perché indietro non si torna è anche vero che le cose possono sempre peggiorare.
Giunge a proposito una ricerca dall’Università di Berna che ha dato origine a ben due lavori scientifici uno pubblicato su Nature e l’altro su Nature Geoscience. In sintesi dopo aver esaminato le fluttuazioni climatiche degli ultimi duemila anni gli scienziati sono giunti alla conclusione che non solo l’attuale cambiamento climatico sta avvenendo molto più in fretta di qualsiasi fase di riscaldamento degli ultimi duemila anni (cosa che già era stata ampiamente illustrata da studi precedenti) ma che le fluttuazioni climatiche degli ultimi duemila anni sono state sempre fenomeni regionali e non globali. L’articolo pubblicato su Nature illustra proprio come non ci siano prove di periodi di riscaldamento o raffreddamento che siano avvenuti contemporaneamente su tutto il pianeta, l’altro fa il confronto con le simulazioni sull’era attuale.
Prendiamo ad esempio la piccola era glaciale che va dal 1300 al 1850, dunque alla soglia dell’era industriale, si ritiene che sia un periodo di raffreddamento globale, ora però si scopre che i picchi della fluttuazione climatica sono avvenuti in epoche diverse in diverse aree del mondo.
L’errata convinzione precedente era dovuta soprattutto al fatto che disponiamo di dati soprattutto per l’Europa e il Nord America e meno per altre parti del mondo.
I ricercatori hanno attinto ai dati del consorzio internazionale di ricerca PAGES (Past Global Changes) e hanno preso in considerazione cinque periodi climatici dell’era preindustriale, i dati raccolti nel database vengono da anelli degli alberi, carote di ghiaccio, sedimenti lacustri e coralli.
Il riscaldamento iniziato nel XX secolo a differenza di tutti i precedenti sta invece coinvolgendo contemporaneamente il 98% del pianeta.
Cari (si fa per dire) negazionisti dell’origine umana della cause del riscaldamento globale quante altre prove vi servono?
Innovazione nei tatuaggi temporanei: un ponte tra neuroscienza e tecnologia avanzata
Una nuova frontiera della ricerca scientifica sta prendendo forma grazie allo sviluppo di tatuaggi temporanei...