La Chiesa chiede giustizia per Padre José Martín Guzmán Vega, 55 anni, assassinato la notte dello scorso 22 agosto a Matamoros, Tamaulipas.
E’ l’ultima vittima della strage mai cessata di sacerdoti cattolici in Messico, 26 solo nell’arco dell’ultima presidenza secondo i dati diffusi dal Centro cattolico multimediale di Città del Messico. Crimini che spesso restano impuniti, quando non vengono seppelliti da forme di diffamazione post-mortem della vittima, utili a trovare una valida scusa per chiudere l’indagine in fretta.
I preti e la Chiesa sono un bersaglio in quanto rifugio
Presi di mira da narcos e criminalità organizzata, in modo analogo ai giornalisti, in quanto voci incontrollate che trovano ascolto e consenso presso l’opinione pubblica, i preti sono ormai un bersaglio al punto che la Chiesa messicana ha dovuto fornire loro raccomandazioni precise. Giubbotti antiproiettile; evitare di uscire non accompagnati; stare alla larga da locali isolati: sono solo alcune delle istruzioni che un sacerdote deve seguire se vuole sopravvivere a quella che è diventata una vera e propria persecuzione, almeno stando ai numeri.
Prima che l’attuale presidente Enrique Peña Nieto dichiarasse la guerra al narcotraffico che coincide con l’aumento delle cifre, queste erano tutt’altro che basse: nel corso del mandato di Felipe Calderon (2006-2012), le vittime sono state infatti diciassette, a loro volta in incremento rispetto alle stagioni presidenziali precedenti. Il prete è un obiettivo cruciale perché rappresenta un rifugio per le comunità su cui s’intende fare pressioni e creare destabilizzazione, in quanto non si limita a offrire assistenza spirituale, ma anche servizi educativi, sanitari e più in generale conserva un ruolo sociale che lo rende un punto di riferimento.
Esecuzioni plateali per rendere vulnerabile la comunità
E’ questa la ragione delle modalità plateali e dimostrative di autentiche esecuzioni. Un esempio è quella che ha messo fine alla vita di padre Juan Miguel Contreras nell’aprile dello scorso anno. Aveva appena terminato di celebrare la messa quando un commando armato fece irruzione nella chiesa di San Pio di Pietralcina a Tlacomulco de Zuñiga, Jalisco, per poi mirare contro di lui e sparare ripetutamente.
Azioni che non si pongono solo l’obiettivo dell’eliminazione fisica, ma anche quello di trasmettere alla comunità un senso di angosciosa precarietà e vulnerabilità profonda, oltre all’aspetto politico: la morte di padre Contreras avvenne, non a caso, sotto elezioni. Un passaggio che ha caratterizzato in modo drammatico l’evolversi della questione omicidi.
Il contesto di corruzione e degrado
In un Paese dove i cartelli della droga occupano intere regioni, terzo produttore mondiale di eroina e marijuana, i 26 preti uccisi vanno collocati nell’arco delle circa 800 minacce di morte ricevute da sacerdoti cattolici e in un contesto di corruzione, oltre che di violenza e degrado, che piaga la società civile. E’ qui che occorre togliere ogni vigore alla figura sacrale che il presbitero rappresenta per la comunità e al ruolo di aggregazione esercitato dalla Chiesa: senza paura e silenzio il potere della criminalità organizzata non può essere garantito.
Destabilizzare la comunità, dunque, seminare un clima di panico e smarrimento: è questa la ragione per cui l’allarme dilaga di regione in regione, aggravato dal problema dell’impunità.
Basti pensare al caso del cardinale Juan Jesús Posadas Ocampo, assassinato il 24 maggio 1993, per il quale nessuno ha pagato, benché le indagini puntassero chiaramente verso un cartello della droga locale. E non sembrava allora difficile individuare mandante e movente, visto che il sacerdote era attivo nella lotta al narcotraffico.
In Messico le chiese profanate sono ormai in media 26 al mese. Oltre alle intimidazioni, i preti subiscono estorsioni, sequestri e torture prima che si arrivi agli omicidi.
La loro frequenza e brutalità consegnano uno scenario in cui il prezzo della guerra alla droga è pagato col sangue dagli operatori di pace.
Camillo Maffia