Ideato nel 1947 all’interno dei Laboratori Bell dell’AT&T, non ci volle molto a capire che il transistor, inizialmente concepito per migliorare la tecnologia delle comunicazioni, avrebbe cambiato una volta per tutte il corso dell’elettronica, tanto da fare attribuire ai suoi tre inventori, nel 1956, il Premio Nobel per la Fisica.
Il nome deriva dall’unione delle parole inglesi transconductance e varistor.
Come funziona il transistor?
Il transistor è un componente realizzato con materiali semiconduttori, come il silicio e il germanio, dotato di tre terminali di connessione al circuito esterno, denominati “collettore”, “emettitore”, “base”.
Se si applica una tensione elettrica a due dei terminali è possibile regolare il flusso di elettroni che attraversa il transistor stesso, in tal modo amplificando o fermando il segnale in ingresso.
In analogia ad un circuito idraulico, il transistor, può essere definito come un valvola che può essere usata per controllare la portata del flusso di elettroni.
Di conseguenza, se la “valvola” rimane aperta (ON – corto circuito tra collettore ed emettitore) il flusso di elettroni scorre liberamente; se la valvola è chiusa può fermare completamente il flusso medesimo (OFF – circuito aperto tra collettore ed emettitore).
In tal modo si può regolare il flusso di elettroni in maniera lineare, al pari delle posizioni intermedie di un rubinetto.
A cosa serve il transistor
Grazie a queste sue caratteristiche, all’interno di un circuito elettrico il transistor trova utilizzo come amplificatore o come interruttore.
Nel primo caso, sfruttando le proprietà fisiche dei materiali semiconduttori, può trasformare la corrente (o la tensione) in ingresso in un segnale dotato di maggior potenza, come avviene, ad esempio, con le apparecchiature acustiche (amplificatori, apparecchi acustici, …) nelle quali i suoni vengono amplificati.
Nel secondo caso, invece, il dispositivo può amplificare il segnale in ingresso o annullarlo e, quindi, consente o impedisce il transito della corrente all’interno del circuito elettrico.
Quest’ultima caratteristica permette di realizzare i circuiti elettronici digitali, in quanto il sistema può assumere il valore binario di “0” oppure di “1” ed è, pertanto, utilizzato in campo informatico.
Infatti, data la capacità di miniaturizzazione ormai raggiunta, ogni microchip (che sia un processore o una memoria) è composto da miliardi di transistor che, opportunamente serializzati, permettono di archiviare dati o di dare esecuzione ai comandi dei vari software.
Come è fatto un transistor
Come detto, i transistor si basano sui semiconduttori, che sono materiali che hanno una resistività (o anche una conducibilità) intermedia tra i conduttori (come un filo di rame) e gli isolanti (come l’aria).
Se vengono “contaminati” da altri materiali (cd. “doping” tecnico) che ne modificano le caratteristiche fisiche, il flusso di elettroni viene agevolato, come avviene, ad esempio, nel caso del trattamento del silicio con arsenico, fosforo o antimonio, nel qual caso il transistor viene definito n-type, dove “n” sta per negativo (NPN).
Al contrario, se il silicio è trattato con boro, alluminio e gallio, si avrà un maggior numero di cariche elettriche positive e, in questo caso, il transistor sarà chiamato p-type, dove “p” sta per positivo (PNP).
Unendo “strati” di semiconduttori NPN con altri PNP è possibile ottenere dispositivi elettronici di ogni tipo.
Affiancando tra loro tre strati di semiconduttori (sia nella “configurazione PNP”, ovvero positivo-negativo-positivo, sia nella “configurazione NPN”, negativo-positivo-negativo) si darà vita ad un transistor a giunzione bipolare, tipicamente utilizzato negli amplificatori di segnale analogici.
I MOSFET – Transistor ad effetto di campo
Nel campo dell’elettronica digitale, invece, sono utilizzati i transistor di tipo MOSFET, anche essi costituiti da strati di silicio (o altri materiali semiconduttori) alternati in modo da creare tipi NPN e PNP.
La particolarità è che gli strati di semiconduttori sono inglobati in un involucro di materiali di ossido di metallo, su cui ci sono i tre connettori che collegano il transistor al resto del circuito elettrico: la porta (gate), la sorgente (source) e il pozzo (drain).
Se la tensione alla porta è nulla, la corrente tra sorgente e pozzo è nulla (il transistor funziona quindi come un interruttore “aperto”); se la tensione della porta è sufficiente, ci sarà passaggio di corrente elettrica tra la sorgente e il pozzo (in questo caso il transistor funziona come un interruttore “chiuso”).
I MOSFET, dunque, sono i transistor più adatti per le applicazioni informatiche, in quanto consentono l’esecuzione delle operazioni “booleane” fondamento della logica digitale.