L’ultima volta che in Italia si è seriamente parlato di congedo mestruale è stato nel 2017. Anno in cui la proposta di legge in materia, presentata l’anno precedente, è arrivata alla Commissione Lavoro della Camera. Poi, come troppo spesso accade, la discussione è caduta nel dimenticatoio burocratico.
A riaprire le danze della questione, la recente decisione della multinazionale di food & restaurants Zomato di introdurre un congedo mestruale pagato di dieci giorni all’anno. L’amministratore delegato dell’Azienda, Deepinger Goyal, ha tenuto a precisare che la misura si rivolge a coloro che soffrono di mestruazione dolorosa ed invalidante. Siano esse donne oppure uomini transgender alle dipendenze dell’azienda.
Il congedo mestruale secondo il modello Zomato
Quella avanzata da Zomato è una decisione che non ha lasciato indifferente il resto del mondo. Anche grazie alle innovative modalità con cui è possibile usufruire dei giorni di permesso. Il congedo può essere richiesto attraverso un portale dedicato e le lavoratrici di Zomato hanno la possibilità di denunciare colleghi e colleghe che le discriminino per i loro giorni di assenza giustificata. E’ possibile richiedere un giorno a disposizione per ciascun ciclo, per un totale di dieci giorni all’anno. Questo perché, come spiegato dalla dirigenza nel loro sito, è stato calcolato che la maggior parte delle donne ha 14 cicli mestruali all’anno della durata media di 3-5 giorni. E considerando le probabilità che nel corso dell’anno i giorni di dolore acuto possano cadere anche durante il weekend, dieci giorni sono dunque un ragionevole compromesso.
Per concludere, il comunicato aziendale si rivolge ai dipendenti uomini.
“Una nota per gli uomini: le nostre colleghe che chiedono il congedo mestruale non dovrebbero essere considerate un problema. Le mestruazioni fanno parte della vita e, sebbene non possiamo comprendere appieno ciò che le donne provano in quei giorni, dobbiamo fidarci di loro quando dicono che hanno bisogno di fermarsi. So che i crampi mestruali sono molto dolorosi per molte donne e dobbiamo supportarle se vogliamo costruire una cultura veramente collaborativa nella nostra azienda“.
Insomma, la dirigenza Zomato sembra non aver lasciato nulla al caso nel prendere questa decisione e forse è proprio una tale cura nell’interesse delle proprie dipendenti ad aver destato tanto scalpore nel resto del mondo.
A che punto siamo nel resto del mondo?
Zomato non è la prima azienda ad offrire il congedo mestruale. In India, rappresenta il caso più eclatante ma non l’unico. In Giappone esiste una legge in materia dal 1947, mentre in Zambia dal 2015. Riconoscono la misura anche stati come la Corea del Sud, l’Indonesia ed il Taiwan. Ebbene, nessuno di questi stati è occidentale. Perché, nostro malgrado, in Occidente, per il congedo mestruale non c’è ancora una legge. Spetta dunque al buonsenso delle dirigenze aziendali, decidere se adottare la misura di congedo. Alcuni grandi realtà commerciali, una fra tutte Nike, lo hanno inserito come prassi nella propria condotta. Ma tanta attenzione da parte di singole realtà non basta a colmare il vuoto legislativo di interi paesi.
Congedo mestruale: misura inclusiva o potenzialmente discriminante?
Innegabilmente, la grande lacuna occidentale in materia provoca un certo stupore. Ma se rapportata ai tabù e alle false credenze che la nostra cultura da secoli trascina con sé, acquista maggior senso. Di mestruazioni ancora si fatica a parlare e nei pochi casi in cui si riesce a farlo, si preferisce mettere a tacere l’argomento con la scusa di questioni di maggior rilevanza per la società. Eppure, dal 60% al 90% delle donne in Italia soffre di dismenorrea, il dolore acuto associato al ciclo mestruale.
Come da sempre viene insegnato, questo è un dolore che va accettato, sopportato e non condiviso, quasi fosse il fardello di una colpa che non abbiamo. Quasi fosse una debolezza, un capriccio momentaneo che se rivelato potrebbe togliere valore alla tanto agognata lotta per la parità di genere. Da qui nasce il dibattito. Da un lato chi ritiene che il congedo mestruale sia una misura equa ed inclusiva. Dall’altro coloro che, in nome dell’uguaglianza, non accettano la possibilità di un trattamento diverso che potrebbe risultare discriminante e controproducente.
Eppure, uguaglianza non dovrebbe essere sinonimo di cieca omologazione uomo-donna. Dovrebbe significare bensì la consapevolezza dei differenti bisogni fisiologici che ciascuno di noi inevitabilmente possiede e che non possono più essere stigmatizzati.
Carola Varano