Negli ultimi anni si fa un gran parlare di “consumatore verde”. L’immaginario collettivo lo dipinge come una persona responsabile, consapevole della gravità della crisi climatica. Uno che, nel privato, nei comportamenti di tutti i giorni, ha scelto il bene del pianeta.
Ma è davvero così?
Identikit del consumatore verde
Rientra nel consumatore verde una casistica molteplice di persone: dal vegetariano al vegano; da chi ha scelto di muoversi in bici a chi viaggia poco (o per nulla) in aereo; da chi ha il suo orticello a chi compra solo a K0 o rigorosamente bio; da chi ha installato il fotovoltaico a chi ha dichiarato guerra alla plastica.
In questa casistica sono ricomprese persone agli antipodi: dal poco o nulla al massimo impegno. Ma la maggior parte, quel che sta in mezzo, è quanto ci interessa e che definisce il “consumatore verde”.
Come è considerato dal mercato economico il consumatore verde?
In generale, come un pollo da spennare. Basta che ci sia la scritta “bio” e, senza controllare se sia vero o meno, spesso è disposto a spendere il doppio. Sapendolo sensibile ai problemi ambientali, viene intortato in tutti i modi: pannelli solari a costi spropositati; auto elettriche o ibride con contratti capestro; scritte sui prodotti del tipo “comprami per aiutare il pianeta”; settori dei supermercati con le fascette “ecosostenibile” perfino sui dentifrici e i prodotti per le pulizie casalinghe con… imballaggi in plastica.
Nessuno se ne accorge?
Tutt’altro: il mercato sa che la dichiarazione di guerra agli imballaggi in plastica del consumatore verde non corrisponde quasi mai al vero: se il packaging è ecosostenibile, il consumatore verde spesso storce in naso per il rincaro.
In linea di massima, è già a posto con la coscienza per aver comprato una cosa che gli è stata garantita green. Specie se gli è stata suggerita da un parente o amico: ancora una volta nessun controllo, piuttosto cieca fiducia nei passaparola.
Il consumatore verde è la prova che il mercato può essere cambiato
Per quanto dettato più dal seguire mode, senza una vera e propria consapevolezza, il consumatore verde ha costretto il mercato a seguirlo. Addirittura a corteggiarlo.
Non a caso molti prodotti con l’etichetta “ecosostenibile” negli ultimi anni hanno aumentato fortemente le vendite.
Questo perché, di fatto, sono i nostri comportamenti, le nostre scelte, che dettano legge sul mercato, sull’economia. E, se a qualcuno ancora non fosse lampante, la politica segue sempre il fiume dell’economia, ci va a braccetto, e forse pure a letto.
Consumatore verde e consumatore sostenibile
Il primo, come abbiamo visto, tendenzialmente segue le mode, il passaparola. E, soprattutto, non ha una vera coscienza del peso politico delle proprie scelte. I suoi comportamenti, di conseguenza, finiscono per stare al gioco del sistema economico capitalista, che addirittura ne monitora le idiosincrasie.
Al contrario del consumatore verde, il consumatore sostenibile (o consum-actor) è informato, sa cosa comprare e dove; sa anche quale peso ha, politicamente, ogni sua scelta.
Ed è pronto a sacrifici, a rinunce, a cambiare radicalmente la propria vita per ottenere quel che dicono di volere tutti: una soluzione all’emergenza climatica.
In sintesi, più che un consumatore sostenibile, un “non consumatore”.
Un processo di de-responsabilizzazione
Il consumatore verde ritiene che non possa essere colpa sua quanto accade al clima. Né che la soluzione possa arrivare dal singolo.
Quante volte si sente dire «Cosa vuoi che cambi se uso meno plastica?»; oppure, dai giovani, «Guardate in che mondo ci avete messo»: scuse bell’e buone per non modificare nulla nei comportamenti quotidiani. Perché, ammettiamolo, è scomodo scegliere la coerenza.
Un po’ di coerenza, tuttavia, è necessaria
In un post di inizio settembre, Fridays for future sostiene che il mito del consumatore verde va sfatato perché “non sono i singoli i veri responsabili della crisi climatica. L’unica vera risposta è l’azione politica”.
Certo, l’impatto e le conseguenze della crisi climatica si stanno facendo sentire ogni giorno di più. Ma alla fine quel che interessa ai governi mondiali è la ripresa economica. Con buona pace del Recovery Fund, inizialmente pensato per contenere i disastri ambientali.
Di fronte a tale scenario, non può bastare un consumatore verde, che tenta di mettere a posto la coscienza un po’ a caso. Neppure se è un attivista di Fridays for future.
Questo perché insistere con i politici per ottenere un cambiamento di rotta, quando nessuno è disposto a modificare nulla nella sua vita, è pura ipocrisia.
Non dimentichiamo che sono proprio i comportamenti dei singoli che determinano il mercato e la politica.
Quale azione politica può contrastare la crisi climatica?
L’operazione più coerente ed efficace sarebbe sospendere certi comportamenti, non lanciare accuse e poi fregarsene; o sperare che siano gli altri a cambiare, non noi.
Solo un percorso profondo di cambiamento personale può risultare significativo politicamente: c’è bisogno di una coscienza di fondo, di una forma di consapevolezza che metta sullo stesso piano responsabilità politica e individuale.
In pratica, diventare poco per volta “non consumatori”: così facendo si abbraccerebbe totalmente il principio della protesta non violenta, in cui tutti i movimenti ambientalisti dichiarano di credere. E senza neppure bisogno di manifestare in piazza: una vera ribellione dal basso, capace di boicottare i fondamenti del capitalismo e la sua incapacità di salvaguardare il solo pianeta che ci è dato di abitare.
Claudia Maschio