La recente sentenza della Corte Costituzionale italiana ha scosso il panorama dell’edilizia residenziale pubblica, mettendo in discussione una legge del Veneto sulla casa, che imponeva restrizioni sull’accesso alle case popolari. Questa decisione è stata una vera e propria svolta nel dibattito sull’edilizia residenziale pubblica e ha sollevato importanti interrogativi sulla giustizia sociale e sull’equità nell’accesso all’abitazione. Si è posto infatti al centro del dibattito la necessità di conciliare il diritto inviolabile all’abitazione con i principi di eguaglianza e ragionevolezza.
Il contenzioso e la decisione della Consulta
Lunedì scorso, la Corte Costituzionale italiana ha emesso una sentenza di grande rilevanza riguardo alla legge del Veneto sulla casa, che imponeva restrizioni sull’accesso alle case popolari per coloro – indipendentemente dalla loro nazionalità – che non risiedevano nel territorio regionale da almeno cinque anni. Questa decisione è stata presa in seguito a un contenzioso contro la Regione e il Comune di Venezia da parte di tre cittadini extracomunitari, supportati da organizzazioni impegnate nel campo giuridico e sociale.
L’aggettivo con cui la Corte Costituzionale si è pronunciata nella sentenza n.67 è stato “irragionevole”, riferendosi appunto alla legge del Veneto sulla casa. In particolare, è fortemente discriminatorio nei confronti di chi ha necessità di spostarsi, per vari motivi, da un posto all’altro. Inoltre, ma non di ultima importanza, la legge del Veneto sulla casa viola la disuguaglianza sostanziale e formale promossa dalla Carta, oltre che il diritto inalienabile all’abitare.
Il Presidente della Regione Veneto, nonché promotore della legge sull’abitare, si è fortemente dissociato dalla sentenza della Corte Costituzionale, rivendicando una legge che era stata redatta per favorire maggiore inclusione ma che, allo stesso tempo, “premiasse” i residenti più storici.
Il presidente del Veneto, Luca Zaia, ha espresso disaccordo con la sentenza della Corte, sostenendo che la legge del Veneto sulla casa mirava a favorire l’inclusione e il senso di comunità. Zaia ha difeso la scelta di premiare coloro che hanno un progetto di vita nel Veneto, indipendentemente dalla nazionalità, e ha ribadito che la legge non esclude nessuno ma è stata pensata per favorire chi vuole stabilirsi nella regione.
La contestata legge regionale
La legge del Veneto sulla casa – o legge 39/2017 -, approvata nel 2017, è stata oggetto di controversia soprattutto per il requisito della residenza quinquennale nel territorio regionale per poter accedere alle graduatorie delle case popolari. I giudici della Consulta hanno stabilito che tale requisito viola i principi di ragionevolezza ed eguaglianza sanciti dalla Costituzione italiana.
Secondo la Corte Costituzionale poi, collegare l’accesso alle case popolari alla residenza prolungata nel Veneto è irragionevole, poiché coloro che versano in stato di bisogno spesso hanno la necessità di trasferirsi in cerca di opportunità di lavoro. A proposito del requisito di eguaglianza sostanziale, la violazione si riferisce alla “destinazione sociale” propria dell’edilizia residenziale pubblica, che in questo contesto è parte lesa.
La Corte ha sottolineato che non c’è alcuna correlazione tra l’accesso al diritto alla casa e i tempi di residenza in un determinato luogo geografico. Questo è uno dei nodi più importanti quanto complicati della legge del Veneto sulla casa: risulta quindi evidente che è molto difficile usufruire delle abitazioni popolari perché viene stabilita una “soglia molto rigida che porta a negare a molte situazioni di bisogno” l’accesso all’abitare.
Impatto e riflessioni sul diritto all’abitare
La decisione della Corte Costituzionale ha rimosso il requisito dei cinque anni di residenza per l’accesso alle case popolari nel Veneto, riaffermando il diritto inviolabile all’abitazione e l’importanza di garantire l’eguaglianza e la ragionevolezza nelle politiche abitative. Resta fondamentale, quindi, trovare un equilibrio tra la tutela del bisogno abitativo e il rispetto dei principi costituzionali di eguaglianza e solidarietà sociale. Questa sentenza segna un importante passo avanti nella lotta per un’edilizia residenziale pubblica equa e inclusiva per tutti i cittadini.
La giurisprudenza ha avuto l’onere e l’onore di ricordare l’inviolabilità, oltre che l’inalienabilità, di alcuni diritti, tra cui quello all’abitare. La casa è un diritto sociale e funzionale per ogni persona, in quanto diritto umano che garantisce la dignità di ogni essere umano. L’edilizia residenziale quindi, sia a livello regionale sia a livello nazionale, deve garantire l’accesso a tutte le persone bisognose e idonee, senza alcuna discriminazione.
Il diritto all’abitare deve essere garantito da tutti gli enti e istituzioni dello Stato italiano, che ad oggi non considera il tetto come prima necessità di una vita dignitosa. Nonostante la Costituzione lo riconosca come bene sociale, lo Stato non si è mai effettivamente degnato di studiare piani di allocazioni per le persone indigenti e in seria difficoltà economica. L’emergenza abitativa è sempre più dilagante, davanti agli occhi di tutti, ma i soldi pubblici continuano ad essere investiti in armi e accordi con le grandi multinazionali private.