A volte un libro prende vita tra le mani del lettore e la storia narrata diventa anche un po’ la nostra. Oggi tra le pagine di Cuorebomba, il nuovo libro di Dario Levantino pubblicato da Fazi Editore, torno adolescente e nello scompiglio emotivo ritrovo la speranza di un futuro.
Rapita dalla lettura mi trovo d’un tratto a prendere le sembianze di Rosario, il giovane protagonista di Cuorebomba. L’empatia è forte e così anche io combatto la sua battaglia contro la solitudine, la paura, l’abbandono e l’enorme turbamento del diventare grandi. Questo è più di un romanzo di formazione, questo è il romanzo di tutti noi, che giovani ci siamo stati. Forse oggi abbiamo dimenticato le angosce dell’adolescenza e forse ha ragione proprio Rosario quando dice:
“La differenza tra un ragazzo e un uomo è proprio questa: il secondo non sa sognare“.
La brillantezza e la spontaneità della narrazione, caratteristica prodigiosa nello stile di scrittura di Dario Levantino, immerge il lettore in una dimensione fatta di luci e ombre, di odori e sapori. Quasi sembra di stare lì, nel quartiere Brancaccio, periferia controversa di Palermo.
Il giovane Rosario vive la sua adolescenza tra le difficoltà della povertà, sfiancato dalla violenza del suo quartiere, costretto a diventare grande prima del tempo. Una madre che si ammala di dolore e un figlio che la nutre di speranza, proprio quella speranza che spesso i grandi perdono per sempre. Ma la forza della gioventù è proprio questa, andare sempre più su, come quando Rosario osserva i tetti di Palermo, come quando trova l’amore e la passione di Anna, o la lealtà di Jonathan cane. Un intreccio di vicende che vengono filtrate dal protagonista, elaborate e “sputate” fuori come si fa con il dolore, così che l’amore trovi spazio. Rosario sceglie di amare e il suo è un Cuorebomba.
“Il Cuorebomba è un debole gentile, è un fragile forte, è uno che al posto del cuore c’ha una bomba“.
Scrive Dario Levantino nel romanzo, evidenziando tutti i contrasti che caratterizzano la crescita. Rosario lotta tra gli opposti: tra bello e brutto, amore e odio, paura e coraggio; ma poi guarda l’orizzonte:
“Il mio sguardo cerca un punto preciso in cui il mare diventa cielo. Ma non lo trova, perché i confini esistono solo fra le cose brutte. Fra le cose belle esistono soltanto le sfumature“.
Questo è Rosario e questa è la forza dei giovani: superare i confini.
All’ultima pagina del libro torno nella realtà con una nuova consapevolezza, finalmente ricordo i dolori e le passioni della mia gioventù e penso che questo libro faccia bene ai grandi, perché possano avvicinarsi un po’ di più a questi ragazzi che, con tante difficoltà, lottano in questo mondo difettoso, non poi tanto diverso da Brancaccio.
Ho avuto il piacere di porre qualche domanda all’autore riguardo Cuorebomba. Con le sue risposte Dario Levantino ci permette di approfondire ulteriormente quanto emerso dal suo romanzo.
Povertà, solitudine e dolore accompagnano molti adolescenti che
spesso perdono le speranze. Quale consiglio darebbe Rosario a questi
ragazzi?
“Rosario nessuno, perché troppo intrappolato nella rete di tensioni proprie di ogni adolescenza difficile. Invece io uno ce l’ho. Ed è questo. Non dobbiamo mai avere paura delle emozioni, anche quelle negative, perché – come osservava il protagonista nel primo romanzo – per guarire da ogni male, prima bisogna interiorizzarlo, farlo proprio, intossicarsi male per poi vomitare bene. In altre parole il dolore è necessario“.
Rosario interpreta la cultura come “disordine, vento tra le foglie,
interpretazione infedele…” La scuola è incastrata in schemi troppo
stretti. Cosa si potrebbe migliorare nell’offerta formativa?
“La scuola, a mio avviso, non sta vivendo una primavera. È in corso una burocratizzazione pesante che, anno dopo anno, sta trasformando il ruolo degli insegnanti da formatori a impiegati d’ufficio, e questo mi dispiace, per la convinzione che un buon professore è tale solo se tocca con mano il fragile e delicatissimo equilibrio umano. Sono cresciuto con gli scritti di Don Milani e di Rousseau, penso che ogni buona scuola debba mirare a quel modello di formazione lì“.
Gli eroi del passato sono compagni fedeli nel percorso del
protagonista, quale di questi ha aiutato più di tutti Rosario a
combattere le ingiustizie della sua vita?
“Due in assoluto.
La prima è Antigone, perché incarna il dovere di tutti gli uomini probi di osteggiare leggi inique. Ieri Antigone contro i folli decreti di Creonte; oggi Rosario contro il corrotto sistema dei servizi sociali.
Il secondo personaggio è in realtà una coppia di fratelli: i Diòscuri, cioè Càstore e Pollùce, fratelli – uno mortale l’altro no – che non si separeranno nemmeno nel regno dei morti.
Il primo personaggio, Antigone, incarna il coraggio della disobbedienza; i secondi, invece, il coraggio dell’amore”.
In Cuorebomba descrivi Brancaccio dettagliatamente, tra bello e
brutto trovi le sfumature che ti legano a quel luogo. Quanto è
importante tenere fede alla propria identità?
“La domanda è retorica, e sono d’accordo con voi: è importante tenere fede alla propria identità, tuttavia non bisogna chiudersi nel nome dell’identità. Per me la vita è un viaggio in barca: c’è un tempo in cui bisogna remare e allontanarsi da casa, e c’è un tempo in cui bisogna tirare i remi in barca e farsi trasportare indietro dalla corrente. Un paese ci vuole! Io, coi miei alunni, per esempio, a volte faccio anche lezione in siciliano. Serve a loro a capire che l’Italia ha un bagaglio culturale sterminato, e a me a sentirmi più a casa, pur abitando lontano dalla mia Palermo“.
Ultimamente i giovani, come mai nella storia, si ribellano
pubblicamente a un sistema fallato e pilotato da adulti ipocriti nel
“perfetto marchingegno della palude sociale” come citi nel tuo libro.
Quanto la ribellione e la disubbidienza sono importanti per un ragazzo?
“Per me importantissimi.
Antigone ci insegna ad essere prima di tutto cittadini di una comunità alle cui leggi abbiamo l’obbligo etico di collaborare. La ribellione – sebbene nelle forme immature e faziose – insegna il senso civico, ai giovani fa bene, ma anche agli adulti.
Sui muri della mia scuola – per esempio – anarchici, fascisti e comunisti se le danno di santa ragione, a suon di bombolette spray e simboli identitari. Molti miei colleghi sono molto preoccupati, io no perché quella è pur sempre una forma di partecipazione. Gli do tempo cinque anni perché capiscano che la democrazia è il regime meno imperfetto fra quelli esistenti”.
Tutti gli scrittori narrano di sé, pur utilizzando la
trasfigurazione della fantasia e in ciò lanciano un messaggio a cui
credono e per cui lottano. Quale messaggio hai voluto lanciare in
Cuorebomba?
“Cuorebomba racconta la forza del legame materno, racconta che ci si può alzare dopo essere caduti, racconta che il dolore è necessario per tornare a vivere e che il perdono è il regalo più grande che possiamo fare a noi stessi e non agli altri. Insegna che è bello dopo il morire vivere ancora“.
“L’uomo prova ad esaudire desideri infiniti con gli strumenti di un
mondo finito. Ecco spiegato il cortocircuito” Scrivi nel tuo libro.
Come riparare questo “Cortocircuito”?
“Non si può guarire da questo male, ma se ne può essere coscienti. A me questo grande insegnamento lo ha dato Leopardi, in una bellissima pagina dello Zibaldone, e anche Rosario – il protagonista di questa storia – non rimane indifferente a queste parole. Il punto è che, essendo infiniti, concepiamo desideri infiniti; quando poi ci confrontiamo con la realtà, che è invece finita, restiamo scottati e delusi. Leopardi ci fa l’esempio del cavallo: noi desideriamo avere un cavallo, e questo desiderio è infinito nell’intensità; quando finalmente ci procuriamo un cavallo, restiamo delusi perché ci aspettavamo un piacere diverso. Questo cortocircuito ci rende continuamente infelici. Che si può fare? Come riparare questo “cortocircuito”? Leopardi ci suggerisce di godere dell’attesa del piacere, che sarebbe la traduzione filosofica del carpe diem. Io una risposta non ce l’ho, ma quella di Leopardi mi piace“.
Ultima domanda, un pochino impervia. Un passo molto interessante
di Cuorebomba cita: “La critica letteraria è quella cosa che uno scrive un
romanzo e un altro, che non sa scrivere romanzi, giudica con una tale
scienza che a scuola si studia più il secondo che il primo”. Si
potesse scegliere, escludendo i “critici eruditi”, da chi faresti
“criticare” il tuo libro?
“Papa Francesco. Per me è un grande uomo, in un tempo di uomini piccoli piccoli“.
Speranza ci sarà sempre finché un adulto sarà capace non solo d’insegnare ai ragazzi, ma anche d’imparare da loro la voglia di sfidare l’ingiustizia, di osare, di sognare ancora. Rosario può farcela solo se qualcuno riuscirà ad ascoltarlo veramente. Grazie a Dario Levantino per l’intervista, ma grazie anche per la sua grande capacità di percepire la sensibilità/forza dei giovani. Cuorebomba ci insegna che loro sono il nostro futuro. È nostro dovere dargli fiducia… In fondo cercano solo questo da noi “grandi”: sostegno.
Sabrina Casani