Il decreto su sicurezza e immigrazione
Sta creando in questi giorni notevoli polemiche il decreto legislativo in merito a sicurezza e immigrazione.
Le disposizioni emanate, opera del Ministro degli Interni Minniti e del Ministro della Giustizia Orlando, “per la tutela della sicurezza delle città” e “per l’accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché misure per il contrasto dell’immigrazione illegale” hanno visto in maniera particolare la sollevazione di partiti di neo formazione, quale Possibile e Sinistra Italiana.
Nella considerazione che andare nel merito del decreto sia sempre preferibile ad una presa di posizione, abbiamo deciso di farne un’analisi.
Riguardo la sicurezza
Il decreto sicurezza del Ministro Minniti nasce dall’esigenza di venire a capo alle situazioni di disagio sociale che negli ultimi anni si sono andate a creare in molte realtà cittadine, più o meno grandi.
In un rapporto comparato alle altre normative europee – ma non solo – in realtà il decreto non prevede nulla di oltraggioso, se non una maggiore tutela nei confronti del cittadino.
L’intervento prevede una cessione di competenza nella tutela della sicurezza e dell’ordine pubblico ai sindaci, attraverso l’introduzione del cosiddetto “daspo urbano” – sanzione già presente con riferimento agli stadi – in maniera tale da poter sanzionare quei comportamenti illeciti di fatto già perseguibili dal nostro codice penale.
Il decreto, in questi termini, semplifica il modello della competenza, valorizzando e affidando maggiore potere ai sindaci.
Promuove la cooperazione rafforzata tra prefetti e Comuni dirette con il fine di avere maggiori e più efficienti servizi di controllo del territorio.
Riguardo l’immigrazione
Sotto attacco risulta in maniera particolare il decreto riguardante l’immigrazione, addirittura targato quale peggioramento della Bossi – Fini.
È la questione dell’immigrazione molto complessa per essere semplificata, ma è necessaria, prima di ogni considerazione di merito sul decreto, una piccola digressione.
La prima normativa a tema immigrazione in Italia risale al 1991, Legge Martelli. Fino a quel momento l’Italia porta con sé una norma contenuta all’interno del Codice Penale del 1932, di fattura fascista, che contempla unicamente il reato di clandestinità.
Nel frattempo in Europa, dal Regno Unito alla Francia alla Germania, le normative, sin dal dopo guerra, si adeguano alla possibilità che cittadini provenienti da altri stati potessero arrivati – in particolare Francia e Gran Bretagna in quegli anni hanno già una normativa in materia di inserimento nel mondo del lavoro di cittadini provenienti da altri stati.
La Legge Martelli si rivela ben presto inadeguata, ma da lì in poi prende piede una strada di riforme sbagliate che, dalla Turco – Napolitano alla Bossi – Fini, nonostante alcune sostanziali differenze, gestiscono l’immigrazione affidandosi a sanatorie su sanatorie – un modo per ignorare il problema anziché risolverlo.
È il caso di sfatare il luogo comune del Bel Paese, in realtà il mezzo della sanatoria è attuato anche in altri Paesi dell’Unione Europea.
Con la Bossi – Fini tuttavia, per quanto targata come liberticida, la manovra di azione per la risoluzione del problema immigrazione è invece diminuita considerevolmente. In particolare l’introduzione del reato di ingresso e permanenza illegale ha minato alla capacità di allontanare gli stranieri irregolari, creando il precedente storico di un’immigrazione “che non può essere né sanata né espulsa” per riprendere le parole di Asher Colombo.
I problemi derivanti da un percorso normativo sbagliato, tra cui il tragico ultimo step, sono emersi anno dopo anno, creando oltre che un grande problema sociale – innegabile, per la mancata gestione del fenomeno – la lamentela di buona parte della cittadinanza.
Il decreto sull’immigrazione
Entrando nel merito del decreto approvato il 20 febbraio, questo comporta delle modifiche nella gestione dei sempre più frequenti sbarchi di migranti, mediante l’apertura – prevista – di nuovi CIE – Centri di identificazione ed espulsione degli stranieri irregolari.
L’accoglienza è un dovere, per altro garantito dal diritto internazionale, ma dallo stesso riconosciuto a chi ne ha diritto. Come è un dovere garantirne un’adeguata gestione attenta alla conservazione dei diritti dello straniero, che ove non trovano spazio, fanno insorgere fenomeni di disagio sociale generalizzato.
In questi termini, il decreto, è attento all’attuazione del diritto internazionale e comunitario, nella pura considerazione dei diritti inviolabili dell’uomo.
Il decreto sostanzialmente promuove “la velocizzazione del procedimento volto a riconoscere il diritto d’asilo”, semplificando “i meccanismi e i sistemi necessari per i rimpatri dei migranti che non hanno diritto all’asilo”.
Una delle criticità sta nei termini del riconoscimento, per cui guerre civili, in maniera particolare tra tribù collocate all’interno di alcuni territori regionali, del diritto d’asilo, non riconosciuto – problema attualmente già presente per altro. Questo è un elemento tuttavia non imputabile al decreto.
L’eliminazione del secondo grado d’appello, nel riconoscimento del diritto d’asilo, introdotto dal decreto, presenterebbe caratteri di incostituzionalità rispetto alla parità di trattamento poi.
Il Ministro della Giustizia Orlando commenta definisce il provvedimento quale modo per rendere “più snello il procedimento” di richiesta d’asilo senza tuttavia “indebolire le garanzie”.
Il Presidente del Consiglio dei Ministri Gentiloni da parte sua spiega che il decreto non è volto alla chiusura delle frontiere.
“L’obiettivo strategico non è chiudere le nostre porte ma trasformare sempre più i flussi migratori da fenomeno irregolare a fenomeno regolare, in cui non si mette a rischio la vita ma si arriva in modo sicuro nei nostri paesi e in misura controllata.”
È prevista l’assunzione di 250 specialisti, volta a un miglioramento delle commissioni di esame, nonché la possibilità per i richiedenti di svolgere lavori di pubblica utilità. Inoltre si garantisce la nascita di sezioni specializzate nell’asilo in 14 tribunali ordinari – rispettivamente a Bari, Bologna, Brescia, Cagliari, Catania, Catanzaro, Firenze, Lecce, Milano, Palermo, Roma, Napoli, Torino e Venezia.
Critiche e plausi
Il presidente dell’Anci Antonio Decaro e il presidente della Conferenza delle Regioni Stefano Bonaccini risultano soddisfatti dal decreto. Diverso si dica per Lega Nord, Forza Italia, Possibile e Sinistra Italiana.
Mentre i primi definiscono il decreto come pura chiacchiera, i secondi dicono questo leda ai diritti del rifugiato.
Considerazioni
L’invito rimane sempre a leggere sia il decreto in materia di sicurezza che quello più specificamente rivolto all’immigrazione.
Per quanto l’eliminazione del secondo grado di giudizio presenti di fatto alcune criticità, la critica a un provvedimento “di destra” risulta a tratti sterile, ove una eccessiva parsimonia in termini di sicurezza può creare fenomeni di disagio sociale all’interno dei quali l’intervento è fortemente limitato.
Una considerazione realistica della realtà sociale è necessaria al fine di creare delle strutture normative che diano una risposta ai problemi esistenti.
Sembra delle volte di trovarsi di fronte uno stato ove i partiti si fossilizzano sulla critica più per venire a galla che per fare. Aldilà della congettura storica della sinistra e della destra vi è l’esigenza di creare policies che diano risposte a problemi socialmente rilevanti ed è quello, in fondo, il compito di un governo.
Ilaria Piromalli