Da ieri sera, l’intera Italia è zona rossa a causa dell’emergenza coronavirus. Eppure, come lamentano medici e personale sanitario, continua a esserci troppa gente per strada. Nei negozi. Nei bar. Sembra vigere la convinzione che il coronavirus colpisca SOLTANTO le persone anziane, immunodepresse, oppure chi per lavoro sta a contatto con i contagiati. Non è così.
Dagli ultimi studi, è risultato che la distanza di sicurezza inizialmente consentita potrebbe essere decisamente insufficiente. Nonché che il virus resiste tenacemente su tessuti e superfici, mentre riesce a spostarsi nell’aria, soprattutto in spazi chiusi, più di quanto ci aspetteremmo. Non siamo al sicuro. Questa emergenza coronavirus in Lombardia ha effetti drammatici e il personale medico e sanitario stanno lanciando l’allarme. Ma allora perché continuiamo a comportarci come se poco o nulla stesse succedendo? Come se i decreti emanati per arginare la crisi non fossero altro che cortesi e marginali inviti alla prudenza?
Ieri mattina, in un articolo di Dagospia poi ripreso dalle principali testate, veniva pubblicato un vocale inviato da un medico di un ospedale milanese.
Ecco il contenuto, allarmante, della registrazione:
Ragazzi, la situazione è questa. Hanno chiuso interi reparti. Ridotto i posti letto dei reparti tradizionali. Bloccato gli interventi chirurgici. Hanno bloccato gli ambulatori per far venire i medici ambulatoriali a fare i medici per i reparti Covid. Arrivano ogni giorno in maniera esponenziale. Hanno triplicato praticamente i posti di rianimazione e volevano chiuderci l’UTIC (Unità di Terapia Intensiva). Non so quante UTIC sono state chiuse, per cui anche la rete Stemia è stata chiusa e stanno decentrando tutto.
Spaventose, in particolare, le affermazioni che rivelano la reale portata dell’emergenza coronavirus in Lombardia:
Niguarda sta scoppiando, ha 30 intubati Covid. Tutte le rianimazioni sono quasi piene. Si sta pensando a un numero di triage dei rianimatori per distribuire i pazienti sui letti di rianimazione. E decidere chi intubare e chi lasciar morire.
In cardiologia non ci hanno ancora ricoverato i Covid ma è subdolissima la possibilità di identificarli. Perché non te ne accorgi, non li becchi. In UTIC abbiamo avuto uno choc cardiogeno per 5 giorni, lastra da EPA e l’infettivologo non aveva detto un ca**o. Il radiologo, stasi e congestione al piccolo circolo. Ieri ho telefonato al radiologo e gli ho detto: “Senti, questa qua secondo me è una polmonite”. E aveva la polmonite. Ora gli hanno fatto il tampone, ma sicuramente è un paziente Covid.
Non si riconosce, ma soprattutto… Voi non avete idea. Non lo dicono in tv, quanti giovani – e per giovani intendo anche ventenni – che richiedono una ventilazione meccanica (c-pap). Hanno delle polmoniti orribili. E non hanno comorbidità (altre patologie preesistenti, ndr). O anche nati negli anni ’70 hanno polmoniti. Una marea. È inimmaginabile.
A parte che non abbiamo i presidi, ma i medici ormai non vengono neanche più messi in quarantena o screenati col tampone. Ti dicono: “se tu hai avuto un contatto e non hai sintomi, vieni a lavorare. Se hai sintomi, decidi tu se venire a lavorare o rimanere a casa”. È tragico. Adesso stanno assumendo tutti gli specializzandi del Policlinico, per esempio. E al Policlinico c’è un solo padiglione su tre/quattro che non è destinato ai pazienti Covid. Si aspettano 50 polmoniti al giorno. È drammatica la cosa e non la si dice in giro. Bisogna assolutamente che la gente lo capisca.
Come emerge un altro messaggio vocale riguardante l’emergenza coronavirus in Lombardia, proveniente da una cardiologa in terapia intensiva di Milano, la situazione è gravissima:
Questo virus, estremamente contagioso e con 14 giorni di incubazione, in tanti non causa sintomi. Tanti se la cavano senza troppi problemi. Ma molte persone sviluppano una polmonite interstiziale bilaterale e necessitano di un supporto ventilatorio per respirare. Non abbiamo farmaci, perché è un virus: gli antibiotici non funzionano. Stiamo dando cocktail di farmaci che si usano in virus tipo l’Aids, ma in via del tutto sperimentale. Non sappiamo se funzioneranno. L’unica cosa che si può fare in questi casi è intubare il paziente. Quindi far respirare la macchina, mettendo a riposo i polmoni e aspettando che il sistema immunitario sconfigga il virus.
È vero che quelli che muoiono sono spesso anziani e con co-patologie, ma ci sono anche tanti giovani in terapia intensiva. Il problema alla base dell’emergenza coronavirus in Lombardia e in Italia è che tanta gente ha bisogno dell’assistenza ventilatoria e non ci sono ventilatori per tutti. Fondamentalmente ci hanno detto che da questi giorni dovremo incominciare a scegliere chi intubare. Privilegiamo i giovani, quelli senza altre patologie. A Niguarda non intubano più oltre i 60 anni, che è veramente giovane come età.
L’unico modo per non avere un’ecatombe è far sì che ci siano meno contagi possibile e che, qualora ci dovessero essere, fossero dilazionati nel tempo. Perché noi abbiamo 3000 ventilatori in Italia… Se 10000 hanno bisogno di essere intubati e ventilati, 7000 sono condannati a morire. Per questo dobbiamo rallentare il contagio a ogni costo.
A ogni costo, capito?
Esco per un caffè con un amico, per cambiare un po’ aria.
Devo comprarmi un paio di pantaloni, una camicia, una borsa.
È solo un aperitivo, una cena, che sarà mai.
Torno a casa dalla mia famiglia. Sui treni farò attenzione. Poi mi metto in quarantena, solo questo ultimo spostamento e poi basta.
NO.
Non possiamo continuare a credere di poter essere l’eccezione. Che stiano esagerando e che la regola per noi non valga: noi, mica ci possiamo fermare. Faremo quest’ultima cosa, questa commissione lasciata in sospeso da un po’, e poi basta.
Non possiamo più. E non dobbiamo più. Perché, se non ci rendiamo conto che l’emergenza coronavirus in Lombardia come nel Paese è reale, per noi – o peggio, per i nostri amici e i nostri cari – un poi potrebbe non esserci.
Valeria Meazza