La mattinata di studio e lezioni è appena cominciata. Sei sveglio da neanche mezz’ora. Consumi quasi clandestinamente una veloce colazione. Accendi il computer mentre hai ancora in gola l’ultimo sorso di latte e qualche briciolo di biscotto. Ti colleghi a una delle tante piattaforme a cui la tua Università ha scelto di appoggiarsi per le lezioni online (Teams, Zoom, Meet…).
In aula – virtuale – con te ci sono c’è un altro centinaio di studenti, che, come te, sono ancora in bilico tra il sonno e la veglia, a cui solo un caffè potrà porre rimedio. Ecco, la prof si collega. “Buongiorno, ragazzi. Mi sentite? Tutto a posto?”. Si alza un coro di sì e la lezione comincia. Dopo mezz’ora appena di lezione, il video della professoressa si blocca. Ecco, la prima difficoltà nella videochiamata. Appare una strana eco, un brusio di scartocciamento. Ecco la seconda. La lezione è oramai compromessa. Il tuo apprendimento, forse, con lei.
Da quando è scoppiata la bolla del digitale ai tempi del Covid-19, sempre più attività si fanno online, in videochiamata. Dal personal-trainer, alle lezioni, alle riunioni di lavoro fino a coinvolgere anche le relazioni sentimentali, nelle quali i fidanzati o gli amici si incontrano con un click sullo schermo del telefono e fingono di stare bene anche così. Molti, tuttavia, trovano estenuante la maratona di videochiamate, videocorsi, lezioni online, dirette Instagram, et cetera et cetera.
Le videochiamate sono fondamentali, è bene dirlo, in un periodo di blocco totale delle attività come quello che stiamo vivendo. Ci permettono di mandare avanti la baracca, di continuare a sentirci utili, capaci e di non perdere tempo, anzi, in qualche modo riempiono addirittura la nostra giornata, ricreando una nuova routine da quarantena.
Ma allora cosa rende le videochiamate così stancanti? Perché proviamo quella che potremmo definire già fatica da videochiamata?
Secondo Gianpiero Petriglieri e Marissa Shuffer, intervistati dalla BBC, le videochiamate richiederebbero più attenzione di una conversazione faccia a faccia. Che, tradotto, significa spendere maggiori risorse energetiche e cognitive.
Una interazione sociale, infatti, non è composta solo da contenuti verbali, ma bensì anche di segnali corporei e fonologici, veri e propri significanti del discorso. Le chat e le videochat, al contrario, limitano la normale comunicazione alla sola riducibile nel virtuale, nel digitale.
Le nuove forme di comunicazioni implicano da parte nostra un dispendio maggiore per elaborare segnali non verbali, come il tono della voce, le espressioni facciali e, soprattutto la chat, chiamano in causa la nostra capacità di saper legger dentro le parole nude dell’altro, di scovare le intenzioni dell’altro, immaginarci il tono della sua voce quando leggiamo un suo messaggio nella chat. Tutto questo lavoro silente, ma continuo, di inferenze comunicative può finire per privare la mente delle sue energie e dare origine alla fatica da videochiamata.
E, a proposito di silenzio, quando questo accade in una relazione face-to-face può essere una naturale pausa dal ritmo di conversazione. Ma, quando accade online, può generare un fondale di ansia: cosa è successo? è crollata la connessione? si è disattivato il microfono? Questo, a mio parere, è accentuato dal fatto che online tutti abbiamo la pretesa dell’immediatezza: vogliamo tutto subito, e se non lo abbiamo diamo in escandescenze.
Inoltre, c’è un altro fattore da tenere in considerazione. Con le comunicazioni a distanza, la nostra percezione dello spazio cambia sensibilmente nel tempo. (Ne parliamo qui).
Questo accade perché, come spiega Petriglieri alla BBC, “le nostre meni sono insieme, quando i nostri corpi sentono che non lo siamo”. Alla lunga, questa dissonanza spaziale può portare alla cosidetta fatica da videochiamata; perchè, come spiega sempre Petriglieri: “non puoi rilassarti naturalmente nella conversazione”.
Proprio per ripristinare un equilibrio omeostatico, è utile ricorrere ad attività di transizione tra una videochat e l’altra, tra una lezione online e l’altra. Alcuni esempi di recupero sono: fare stretching, prepararsi una tisana o un caffè, fare qualche piegamento, bere o mangiare qualcosa.
I momenti di transizione, come i confini tra il me e l’altro, sono importantissimi.
È come se avessimo bisogno di creare un buffer, un ritardo transizionale, che ci consenta di mettere da parte un’identità per indossarne un’altra mentre ci spostiamo tra il lavoro, la scuola e le relazioni personali.
Si aggiunge così un altro aspetto critico delle relazioni prolungate in videochat, evidenziato da Petriglieri.
“La maggior parte delle nostre relazioni sociali avviene in luoghi diversi, ma ora questo assunto è crollato. Immagina se andassi in un bar e sullo stesso bancone parlassi con i tuoi professori, i tuoi genitori, i tuoi amici, la tua fidanzata”.
Non sarebbe strano? Questo è quello che molti italiani quotidianamente stanno vivendo .
Certo, è vero che lo spazio digitale non è lo spazio fisico, ma oggi, in questa quarantena, l’unico spazio in cui incontriamo gli altri – esclusa la propria cerchia di convivenza – è lo spazio virtuale, la finestra di un computer, l’applicazione di uno smartphone.
Il confine fisico si è trasformato in un confine digitale.
Un fattore critico da non sottovalutare è la consapevolezza di essere guardati. Come dimostrano diversi esperimenti in psicologia, tra cui quello di…. la sola credenza di essere osservati può modificare il comportamento.
Durante le videoconferenze, a meno che non si disattivi la webcam, sappiamo che tutti ci stanno guardando. Senza considerare che è molto probabile ti fissi a guardare la tua immagine video e ti perdi così un passaggio importante del discorso di qualcuno. “In una video-chat di gruppo, è come se guardassi la televisione e la televisione ti guardi” sintetizza Petriglieri, il quale tiene a precisare che la fatica da videochiamata è trasversale, estesa agli introversi quanto agli estroversi.
Allora, come possiamo alleviare la fatica da videochiamata?
I due esperti ascoltati dalla BBC suggeriscono di limitare le videochiamate a quelle strettamente necessarie e di evitare quelle zeppe di persone, spesso percepite come un obbligo e non un piacere. Aggiungono, poi, che la telecamera non dovrebbe essere percepita come un obbligo sociale, ma attivata solo facoltativamente, e disattivata quando lo si ritiene opportuno. In alcuni casi, poi, quando si tratta specie di lavoro, Shuffer suggerisce che le condivisioni di file possono essere un’opzione più produttiva delle videochiamate, in termini di sovraccarico di informazioni.
Il rischio individuale è che alcune persone, sotto la spinta della resilienza forzata o della paura di perdere lavoro, accettino senza remore una condizione stressante per troppo tempo, difficile da estirpare anche una volta terminata la pandemia.
Trascorrere del tempo per verificare il benessere delle persone a cui siamo legati, mantenere una vita lavorativa e scolastica attiva sono modi per connetterci al mondo e non boccheggiare, con il rischio di annegare, nella propria bolla domestica. Tuttavia, non dovrebbe essere condotto al prezzo di un affaticamento e di uno stress inconciliabili con il proprio benessere psichico.
Axel Sintoni