L’omicidio di Emine per mano del suo ex marito ha scosso gli animi dei turchi mettendo in evidenza il maschilismo insito nella società. Migliaia di donne sono scese in piazza chiedendo alla politica di trovare delle soluzioni efficaci per combattere il problema del femminicidio in Turchia.
Il 18 agosto in un bar di Kirikkale Emine Bulut, 38 anni, è stata uccisa dal suo ex coniuge davanti alla loro bambina e agli altri clienti. Uno di loro ha ripreso tutto e ha pubblicato il video sul web. Il 23 agosto è diventato virale. Le agghiaccianti immagini hanno scatenato la rabbia dell’opinione pubblica turca, in particolare delle donne. Quello di Emine infatti non è che l’ennesimo femminicidio in Turchia. Secondo i dati del Ministero dell’Interno turco la media è di circa 20 morte ammazzate al mese.
Dopo un’accesa discussione, che verteva proprio sulla custodia della piccola, Fedai Varan, ex marito di Emine l’ha selvaggiamente accoltellata davanti alla figlia di 10 anni. Emine ha iniziato a dissanguarsi tra le braccia della bambina che la supplicava di non lasciarla mentre la donna urlava spaventata: “non voglio morire”. Nel frattempo Varan è scappato in taxi lasciando Emine al suo destino.
Emine non ce l’ha fatta, la ferita al collo inferta dal suo ex marito era troppo profonda. La donna è morta in ospedale. Davanti alla corte l’uomo ha dato la colpa a lei, affermando di aver perso la testa quando l’ex moglie lo aveva insultato durante il litigio. L’offesa, secondo lui, avrebbe provocato la sua reazione violenta.
Gli altri casi di femminicidio in Turchia
In base alle informazioni raccolte dalla piattaforma online Kadincinayetlerinidurduracagiz.net (in italiano: “Noi fermeremo il femminicidio”), nata per sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema della violenza contro le donne, nei primi 7 mesi del 2019 sono morte per mano di uomini 245 donne in Turchia. 31 solo nel mese di luglio.
Nella sezione internazionale del sito le attiviste dell’associazione “We Will Stop Femicide” spiegano che le turche di ogni estrazione sociale:
“vogliono lavorare, avere accesso all’educazione, avere la possibilità di divorziare o lasciare il proprio partner se non sono felici, non essere costrette a fare qualcosa che non vogliono fare, prendere decisioni sulle questioni che riguardano le propria vita. Esse sono consapevoli che sarà un processo lungo e pieno di ostacoli, ma sono disposte a lottare per vedere riconosciuti i propri diritti”.
Tuttavia gli uomini reagiscono alle loro rivendicazioni con la violenza e anche la politica è responsabile della condizione di oppressione delle donne turche. Infatti, il Governo continua a perpetrare un sistema che ostacola l’emancipazione femminile e non tutela le vittime di violenza di genere.
Il manifesto delle attiviste turche contro la violenza sulle donne
Le attiviste propongono 4 soluzioni per combattere il maschilismo insito nella società e di conseguenza fermare i femminicidi:
- Il Presidente, il primo ministro e i leader dei principali partiti politici devono condannare pubblicamente la violenza contro le donne;
- La legge n.6824 che tratta la protezione delle vittime di violenza deve essere implementata in modo efficace;
- Si deve aggiungere al Codice Penale turco la pena di ergastolo
- Bisogna fondare un Ministero delle Donne
- È necessario scrivere una nuova Costituzione per dare priorità all’uguaglianza di genere e ai diritti civili.
La BBC ha chiesto a Gulsum Kav, portavoce dell’associazione di cui sopra, di commentare il brutale assassinio di Bulut. Kav ha risposto che le sue ultime parole sono il simbolo di quanto poco vogliano le turche. Lei, infatti, pregava di non essere uccisa, e questa è l’unica cosa che chiedono le donne in Turchia. Di non essere uccise.
La risposta della politica
La politica non è rimasta indifferente al pianto della figlia di Emine abbracciata alla mamma morente e molti si sono commossi. Tuttavia le risposte dei politici conservatori non sono quelle auspicate dal movimento femminista turco. Infatti, si punta molto su un inasprimento pene ignorando completamente la necessità di prevenzione della violenza contro le donne.
Il Sindaco di Instanbul, he ha riconosciuto su Twiitter che la violenza di genere è la causa della perdita di Emine Bulut e si è schierato dalla parte delle donne e dei bambini che sono vittima di violenza domestica.
Di fronte all’ennesimo caso di femminicidio in Turchia, il partito islamsta AKP ha dichiarato di voler portare in Parlamento una proposta di legge per evitare le riduzioni di pena per buona condotta nei casi di femminicidio. Ma l’assassinio non è che il culmine di una lunga serie di abusi ai danni delle donne e per salvare loro la vita bisognerebbe agire subito, ai primi segnali di violenza.
Avvocati e associazioni femministe chiedono l’applicazione dell’Accordo di Istanbul: una normativa internazionale sulla lotta alla violenza contro le donne che prevede iniziative di sensibilizzazione dell’opinione pubblica sui diritti delle vittime e procedure per facilitare l’allontanamento delle donne maltrattate dal domicilio familiare in caso di pericolo imminente.
L’Accordo è stato criticato soprattutto dal partito islamista AKP e dai conservatori in quanto è accusato di “mettere in pericolo l’integrità familiare” e “favorire l’omosessualità”.
I media filogovernativi l’hanno accusato anche di essere un “prodotto occidentale” che ha provocato “l’espulsione di migliaia di uomini dalle proprie case”.
“Il Governo teme che le denunce per violenza domestica possano provocare un aumento dei divorzi, ma la priorità è la sicurezza delle donne” spiega un’avvocata specializzata in violenza di genere a La Vanguardia.
Betty Mammucari