Festival del Cinema di Venezia, la città lagunare inaugura l’edizione numero 76 del concorso cinematografico più noto in Italia,e senza dubbio uno dei più prestigiosi in concorso, tra gli ospiti più attesi di questa edizione Joaquin Phoenix, Brad Pitt, Penelope Cruz, Monica Bellucci, Mick Jagger e molti altri.
Non mancano, però, le quasi consuete polemiche. Dopo il chiacchiericcio dello scorso anno, relativo ad un festival audace e che mirava ad un rinnovamento di se stesso, ecco allora i primi titoli presentati targati Netflix ( ricordiamo “Roma“, anche premio Oscar, di Alfonso Cuaròn e “Sulla mia pelle“, la vicende drammatica legata al caso Stefano Cucchi splendidamente interpretato da Alessandro Borghi), l’apertura alla realtà virtuale che andava ad opporsi a quell’ala più integralista di esteti e classicisti.
Quest’anno, ancora polemica all’inaugurazione del Festival del Cinema di Venezia, dove la presidente di giuria, la regista argentina Lucrezia Martel storce il naso alla partecipazione in concorso del grande autore Roman Polanski.
Pare infatti, che l’intero star system viva ancora delle scorie del movimento #metoo, il grande “watergate” del caso di molestie sessuali legato ad Hollywood e al produttore Harvey Weinstein. La regista Martel, fortemente attiva nell’ambito dei diritti al femminile, “minaccia” la sua assenza alla première di partecipazione del film “J’accuse” ispirato all’affare Dreyfus , diretto proprio dal regista franco-polacco e protagonista di un intricato caso.
Nel 1977 il regista che si trovava a Los Angeles, viene accusato di abuso sessuale per un rapporto avuto con Samantha Geimer allora solo tredicenne e con l’ausilio di sostanze stupefacenti. Il caso venne poi archiviato con un patteggiamento, alcuni capi d’accusa decaduti e con un Polanski che da allora evita soggiorni negli States per timore di estradizione.
Non riesco a scindere l’artista dall’opera, anzi, per me la cosa interessante di un’opera d’arte è proprio il fatto che vi traspare l’autore. La presenza di Roman Polanski in concorso, dopo ciò che ha fatto in passato, mi mette a disagio tanto che non parteciperò alla serata di gala in onore del suo film. Non sarebbe giusto nei confronti di tutte le donne che rappresento, delle donne argentine vittima di stupro”
queste le prime dichiarazioni della presidente di giuria che poi ammette,
“Dalle informazioni che ho trovato mi sono resa conto che Polanski è stato condannato, ha scontato la sua pena e la sua vittima lo ha perdonato. Credo che Polanski meriti una chance perché il suo film è una riflessione su un uomo che commette un errore. E’ un dialogo importante oggi, perciò credo che sia opportuno che se ne parli e il suo film sia presente al festival”
Arriva poi la replica del direttore della Mostra Alberto Barbera:
“Ho visto il film, mi è piaciuto e l’ho invitato, non ho avuto nessun dubbio sul fatto che fosse opportuno invitare il film. Non sono un giudice a cui viene richiesto di esprimersi in base ai criteri della giustizia se un artista debba o no andare in carcere per quello che ha commesso come individuo. Sono un critico cinematografico a cui viene chiesto di giudicare se un film è meritevole o no di partecipare a una competizione, questo ho fatto e il mio lavoro finisce lì, e la stessa cosa dovrebbero fare gli spettatori con il film che andranno a vedere“. “Sono convinto che bisogna necessariamente fare una distinzione tra l’uomo e l’artista
– ha spiegato Barbera –
“L’arte è piena di artisti che hanno commesso crimini di varia natura ed entità, non per questo abbiamo smesso di prendere considerazione e ammirare le opere che hanno prodotto. Questo vale anche per Polanski, uno degli ultimi grandi maestri del cinema europeo ancora in attività. Quando ho fatto questa obiezione mi è stato risposto che negli altri casi avevamo imparato a storicizzare gli eventi; non credo che si possa aspettare 200 o 300 anni“
Non finiscono le polemiche, non soltanto legate al dualismo tra il movimento #metoo e Roman Polanski ma anche a ciò che concerne la percentuale partecipativa delle quote rosa in concorso al Festival del Cinema di Venezia, solo due, infatti, le registe in gara per il Leone d’oro, la saudita Haifaa al-Mansour con ‘The perfect candidate‘ e l’australiana Shannon Murphy con ‘Babyteeth’. Barbera a proposito dello spinoso tema ammette di aver rivisto alcuni film di diretti da donne per aumentare il numero nella selezione, pur non essendo riuscito ad apprezzarli a sufficienza. Eppure
“le sezioni dei cortometraggi e VR ospitano il 40% di opere di donne, perché il cinema ancora non ha raggiunto quella parità? Il problema è l’accesso al denaro. Il budget delle donne è ridotto rispetto a quello degli uomini e questo le spinge a dedicarsi a documentati o film piccoli”.
Conclude, la militante e combattiva Martel :
“Nessuna donna ama le quote rosa, ma non vedo altre possibilità per aumentare il numero delle donne in una società patriarcale. Non mi rende felice la cosa, ma non vedo altro modo per forzare l’industria a pensare in altri modi. Poca partecipazione dei non bianchi o dei poveri, è allarmante”. La Martel sfida Alberto Barbera proponendogli un esperimento: “Proviamo ad adottare il 50 e 50 per un paio di anni e vediamo che succede, vediamo se la qualità delle pellicole diminuisce o no. Stiamo attraversando un momento innovativo e dobbiamo forzare la mano per cambiare le cose”
Claudio Palumbo