Al G8 di Genova 2001 nacque e morì una nuova forma di movimento. Una realtà che criticava l’economia neoliberale e che rivendicava lo Stato di diritto e le sue garanzie, a quel tempo minacciate. I fatti di Genova raggiungono l’acme della violenza con la morte di Carlo Giuliani e le torture alla Diaz e a Bolzaneto, quando lo stato si macchiò di omicidi e repressione.
Il progetto G8 di Genova 2001
Il G8 di Genova 2001 è stato un evento di tre giorni che si svolse tra il 19 e il 22 luglio e vide incontrarsi gli otto paesi più “grandi” del mondo, cioè le potenze economiche mondiali. Se negli alti palazzi istituzionali della città ligure si svolgevano riunioni tra i potenti della terra, nelle strade ogni giorno c’erano manifestazioni di piazza. Le mobilitazioni furono molto partecipate e i movimenti avevano diverse sfumature politiche. Genova infatti ha rappresentato una forte critica nei confronti della globalizzazione economica e di uno stato di diritto che non sembrava più riconoscere le garanzie costituzionali.
Massimo D’Alema, nel 2000 Presidente del Consiglio, indicò Genova come sede adatta per l’incontro. Fu però Silvio Berlusconi a gestire il G8 in quanto primo ministro in carica. Il nuovo governo guidato proprio da Berlusconi si era insediato nel giugno del 2001 ma non era ancora riuscito a modificare i piani politici del precedente.
Alla tre giorni di Genova parteciparono gli Usa rappresentati da Bush, il primo ministro canadese Chretien, il primo ministro giapponese ‘Ichiro Koizumi, Tony Blair per l’Inghilterra, Chirac per la semipresidenza francese, Putin per la presidenza russa e Schröder per la cancelleria tedesca. Berlusconi, per rendere decorosa la città, si occupò di delineare una zona rossa, entro la quale le masse non sarebbero potute entrare poiché zona “delicata”, dedicata agli incontri internazionali. Inoltre, vietò di stendere i panni fuori dalle finestre e abbellì le strade con dei limoni.
Nessuno si preoccupò mai di quanto quella città fosse inadatta ad ospitare una tanto grande mobilitazione internazionale. L’obiettivo del G8, come disse Berlusconi, era sconfiggere la povertà attraverso una virata economica “con l’individuazione di misure atte a sostenere l’economia dei paesi più fragili secondo una strategia integrata”.
Il movimento no-global..
Già da un anno prima, le varie realtà si muovevano verso un’organizzazione di protesta in vista del G8 di Genova 2001. Il movimento no global in particolare era quello che si batteva contro la globalizzazione neoliberale, contro le differenze tra i singoli paesi e le diseguaglianze economiche. Variegato ed eterodosso, chiedeva l’abolizione delle grandi industrie, la garanzia di diritti e parità salariale. Il movimento no global diede vita al Genoa Social Forum, una piattaforma online in cui si cercava di aumentare l’informazione e la partecipazione.
Intanto, l’intelligence italiana aveva posto l’attenzione su più di duemila stranieri arrivati da tutto il mondo e 500 italiani che venivano collegati all’area anarchica, considerata estrema e violenta. Ciò che invece il G8 fece nascere fu un percorso di tanti movimenti, pensieri e critiche che parte dell’Italia stessa ha portato avanti. Era l’inizio di una nuova generazione, successiva ai movimenti del 1968. I partecipanti erano di orientamento politico completamente diverso: dalle femministe ai cattolici, dai sindacati italiani ai popoli indigeni, dalle famiglie ai lavoratori.
..e la sua fine
Le varie realtà iniziarono un confronto pacifico da portare nelle piazze. Le manifestazioni di quei giorni erano infatti vissute come spazi di festa e nuove conoscenze. Ma il 20 luglio tutto precipitò. Il culmine della repressione arrivò presto, nel pomeriggio del 20 luglio del 2001 con l’uccisione di Carlo Giuliani. E poi ancora, i pestaggi nella scuola Diaz e nella caserma di Bolzaneto il giorno dopo.
Genova 2001 è stata una delle piazze più documentate, conosciute, e fotografate. Ma gli stessi media e giornalisti sono stati complici di una falsa verità che ha scagionato politici e carabinieri. Il G8 ha infatti costituito per la storia italiana uno shock: oltre alla fine della vita di movimento, bisognava fare i conti con ciò che era avvenuto. Genova è ancora oggi la punta di un grande iceberg che nasconde le anomalie della politica e della giustizia italiana.
Venerdì 20 luglio: piazza Alimonda
Il 19 luglio, il primo giorno dell’incontro, avevano sfilato principalmente i migranti e gli stranieri che rivendicavano i loro diritti. Le piazze di Genova avevano contato in totale 50.000 persone. Non accadde nulla, ma la tensione percepita era molta. Intanto si creavano spazi sociali in cui le persone potevano riposare e dormire, come nella scuola Diaz, che venne allestita come dormitorio.
Il 20 luglio sarebbe stato più movimentato e partecipato, poiché dedicato alle piazze tematiche e in particolare modo alla repressione poliziesca di quegli ultimi anni. All’inizio del corteo, alle 14.30, c’erano circa 25.000 persone con tute, caschi e armi che sfilarono per tutta la città in direzione della zona rossa. L’obiettivo era proprio quello di violare quell’area, di sfidare i potenti. Lo stesso giorno in piazza Alimonda, dopo numerose cariche, alle 17.30 morì Carlo Giuliani. Ancora oggi non sono chiare le circostanze per cui le camionette fossero in quella piazza. Carlo Giuliani ha perso la vita a causa di un proiettile che lo colpì sullo zigomo.
Famosa è infatti la foto che lo ritrae mentre tira un estintore contro un poliziotto – Mario Placanica – che, intanto, gli punta una pistola. Anni dopo Genova, nell’agosto del 2009, i giudici della Corte Europea diranno che Placanica agì per legittima difesa, dunque il poliziotto non è mai stato condannato né processato.
Sabato 21 luglio: don’t clean up this blood
Il giorno dopo la morte di Carlo Giuliani, il corteo era ancora più grande, partecipato da circa 30.000 mila persone. Tante e più aggressive furono le cariche della polizia, nonostante lo stampo pacifico di una massa sconvolta dalla tragedia del giorno precedente. Gli ospedali in poco tempo si riempirono di persone in fin di vita. La parabola di Genova si chiude con l’ennesima violenza nella scuola Diaz, quando gli agenti entrarono nella scuola dormitorio e causarono più di 80 feriti.
Sconvolgente è stato il caso di Mark Covell, un giornalista che uscì con alcune costole rotte, un polmone bucato e un trauma cranico. Nella storia di Genova 2001, ciò che accadde alla Diaz passò come una violenza gratuita. Ci furono anche dei tentativi di incolpare i manifestanti per detenzione di molotov, in realtà introdotti dai poliziotti per criminalizzare i movimenti. La stessa notte, dentro le mura della caserma di Bolzaneto, i manifestanti fermati, circa 500, furono sottoposti a tormenti, torture e violenze sessuali.
Per non dimenticarlo
La morte di Carlo Giuliani rappresento l’acme di una repressione che sconvolse tutti i momenti di condivisione delle piazze di Genova. In quei tre giorni, si evidenziò un’incapacità di gestire le masse. Questa è infatti una delle pagine più crude della storia italiana: è la cancellazione di ogni diritto democratico che uno Stato deve rispettare. La storia di una tortura rimasta impunita. Lo Stato si è quindi macchiato di uno dei più grandi omicidi della storia del secondo dopoguerra, archiviando nel corso del tempo la verità, con la complicità del silenzio mediatico. Nonostante ogni tentativo di compromettere la memoria nel corso degli anni, ogni 20 luglio attivisti e volontari ricordano la morte di un ragazzo qualunque. È una data per ricordare la vera giustizia sociale e auspicare ad un clima di pace e un mondo diverso.
Il G8 di Genova 2001 era l’occasione per sostenere che i soli grandi otto non potevano decidere le sorti di tutti. I momenti di mobilitazione erano degli appuntamenti propositivi per ribaltare quei rapporti di forza e far capire alle istituzioni che esistevano anche le persone comuni. Carlo Giuliani era una di quelle persone comuni, un figlio di Genova e di quella generazione vergine da velleità politiche di gruppi, partiti o organizzazioni. La morte che ancora oggi ricordiamo ha colpito fortemente quella generazione, perché perdere la vita in piazza era un ricordo lontano degli anni ’70. Purtroppo, Carlo Giuliani è stata la prova del fatto che l’impensabile era possibile. E in breve tempo una festa si trasformò in un lutto collettivo senza fine.
G8 Genova 2001: una ferita ancora aperta
Per la morte di Carlo Giuliani, Mario Placanica fu indagato per omicidio ma poi il Giudice per l’indagine preliminare (GIP) lo prosciolse per legittima difesa e legittimo uso di armi. Tra i manifestanti ci furono 25 condanne per danneggiamento, devastazione e saccheggio e lesioni. Ci fu un totale di più di 100 anni di carcere. Anche per le torture alla Diaz, i processi assolsero 16 poliziotti e ne condannarono 13 per lesioni aggravate e violazione della legge. Ciò che emerge dai processi del post Genova è che nessuno pagò per ciò che era successo.
Le torture della polizia erano qualcosa di ben consapevole, che le forze dell’ordine attuavano in maniera intenzionale e ben programmata. L’obiettivo era quello di punire indiscriminatamente, a prescindere dal colore politico e dalla pericolosità. In questo modo, si poteva annientare qualsiasi pensiero critico nei confronti della nuova politica. Genova rappresenta la fine della legittimità storica delle masse popolari, ma sopratutto il venir meno di ogni forma di interazione tra le istituzioni e il popolo. E ancora oggi, questo dialogo ancora fa fatica a crescere e rafforzarsi.
Non spegni il sole se gli spari addosso
Assalti Frontali , Rotta indipendente