La Malesia è un tripudio di diversità. Un autentico spazio multiculturale, in cui etnie, religioni e colori si mescolano, condividendo luoghi, strade e lingue. L’ideale luogo in cui lettere, parole e libri potrebbero trovare principi con cui confrontarsi, aprire spazi e limitare barriere. Ma in Malesia continuano a imporsi distinzioni, soprattutto verso aspetti di vita che pericolosamente si avvicinano a diritti arcobaleno.
In Malesia l’omosessualità continua ad essere considerata un peccato da nascondere, un errore di costruzione, un dispetto di Dio da soffocare con multe, anni di reclusione e punizioni corporali.
A incidere su cosa possa considerarsi lecito, sulla linea morale, è indubbiamente l’islam, religione dominante e ufficiale. Il filone conservatore dell’Islam non rappresenta unicamente una grande forza culturale, ma un fattore che continua a plasmare le scelte politiche, dettando le regole di un modo d’essere. Così, secondo un sondaggio d’opinione compiuto dal Pew Research Center nel 2013, solo il 9% della popolazione malese ritiene che l’omosessualità debba essere accettata dalla società. Il restante l’86% continua a ritenere che non debba essere fatto.
I cittadini LGBTQ+ continuano a nascondersi, reprimendo una natura considerata malevola, una punizione che non trova spiegazione. La Malesia non è l’unico Paese in cui questo accade. Molti sono i luoghi in cui fattori quali la politica, religione ed educazione incidono su cosa possa considerarsi normalità e cosa possa dirsi, invece, contro natura. Afganistan, Algeria, Bangladesh, Egitto, Eritrea, Iran, Iraq, Kenya, Libia, Marocco, Palestina, Qatar, Siria, Tunisia. Un elenco che non può dirsi completo, che abbraccia politiche repressive, contesti omofobi e sentimenti d’odio generalizzato.
In Malesia i rapporti omosessuali sono considerati contro natura dalla sharia. Per questo anche i libri, che per natura sono il manifesto della libertà di poter pensare, scrivere e volere, possono essere messi al bando. Soprattutto se colorati d’arcobaleno.
I libri proibiti della Malesia in cui l’arcobaleno può essere di un solo colore
Oggi la repressione continua nei confronti delle persone, così come nei libri, i quali possono diventare proibiti.
Recente è stata la decisione del governo di vietare due libri per bambini, colpevoli – presumibilmente – di promuovere “stili di vita LGBTQ+” e un romanzo, a sua volta considerato “dannoso per la morale malese”. Decisioni che hanno fatto insorgere gli attivisti, sorpresi dal fatto che il governo del primo ministro Anwar Ibrahim, visto come liberale, abbia appoggiato la decisione di rendere fuori legge i libri incriminati. Siti Zabedah Kasim, avvocato e attivista per i diritti della comunità LGBTQ+, ha dichiarato come il primo ministro avrebbe dovuto ricordarsi chi ha votato per lui, perché a quanto pare “Sembra stia assecondando i conservatori”.
I libri per bambini banditi sono stati “Jacob’s Room to Choose” di Sarah e Ian Hoffman e “Tale of Steven” di Rebecca Sugar.
“Jacob’s Room to Choose” parla di Jacob, un personaggio che viene cacciato dal bagno dei ragazzi a scuola. “I ragazzi pensano che sembri una ragazza a causa del modo in cui è vestito”, rivela il sito web degli autori. Un messaggio fraintendibile, poco chiaro e ancor meno incline ad essere esclusivo.
“The Tale of Steven”, invece, racconta una storia più astratta riguardo l’identità e la ricerca di sé stessi. La risposta del Ministero dell’Interno della Malesia è stata chiara a riguardo: questi libri rappresentavano una minaccia ai buoni valori insegnati dalla religione e sostenuti dalla comunità in Oriente.
Riguardo il romanzo “Aku”, scritto da Shaz Johar, il ministero si è limitato a sostenere che conteneva contenuti espliciti e immorali.
In sintesi, tutti e tre i libri recherebbero danno poiché contrari ai valori della società malese. Per questo, chiunque verrà colto con qualunque dei libri banditi rischierà una pena detentiva di tre anni, una multa massima di 20.000 ringgit – 4.500 dollari USA – o entrambi.
Lottare per i diritti LGBTQ+ in Malesia
Nel 2021 storica era stata la decisione della Corte Costituzionale malese. Le leggi islamiche contro l’omosessualità sono state considerate incostituzionali e, per questo, inapplicabili da parte dalle autorità. Nella realtà malese, però, a vigere è un doppio sistema legale. Le norme penali islamiche possono essere applicate nei confronti dei cittadini musulmani, assieme alle leggi dello stato. Inoltre, la comunità LGBTQ+ continua a subire condanne fino a vent’anni anni di carcere, secondo una legge che deriva dalla dominazione coloniale britannica, conosciuta come la Sezione 377.
Negli ultimi anni, nonostante i piccoli progressi fatti di sali e scendi, la Malesia ha visto crescere il fondamentalismo religioso e il partito islamico intransigente PAS. Un partito che ha vinto il maggior numero di seggi, ottenendo guadagni sorprendenti nelle elezioni generali di novembre.
La situazione in Malesia rende indispensabile l’impegno di attivisti come Numan Afifi, fondatore dell’organizzazione Pelangi Campaign, finalizzata alla promozione dei diritti LGBTQ+.
Con l’assenza sulla scena attuale della lotta per i diritti LGBTQ+, gli omosessuali apparirebbero solo come i figli di un Dio che non li vuole, privati della comprensione del divino, così come dell’umano.