Il cane e il filosofo, romanzo di Leonardo Caffo edito da Mondadori, è anzitutto una straordinaria lettera d’amore e conoscenza al mondo animale. Intrecciando filosofia e poesia in un meraviglioso gioco di sguardi reciproci, l’autore ci mostra il rapporto umano-cane da una prospettiva inedita. E solleva interrogativi fondamentali mentre arriva dritto al cuore.
La storia di un cane
Il cane e il filosofo dichiaratamente non vuol essere né un romanzo né un saggio, ma solo la storia di un cane. Il cane di Caffo, Pepe, che dal 2003 al 2017 ha accompagnato la sua adolescenza e la giovane età adulta. Contribuendo, con il suo sguardo di un’altra specie, al divenire del filosofo – tanto Leonardo, quanto l’alter-ego narrativo Edoardo – pienamente umano. Quello stesso Pepe capace di essere specchio e interlocutore di ciascun membro della famiglia, quel cane che
era un professionista, un sicario nel dispensare dolcezza. Ci guardava, e noi, come fessi davanti a lui, abbiamo imparato l’esistenza del punto di vista non umano sulle nostre vite spesso così meschine.
Perché, scrive Caffo,
Un cane è una vita, un’esistenza singolare, un punto di vista sulla realtà.
E, come sa chiunque abbia condiviso la propria vita con un cane, questo punto di vista è irreversibile: quando arriva, ci cambia per sempre.
Lo stile di una critica radicale
Inizialmente, non è facile familiarizzare con lo stile de Il cane e il filosofo. Caffo scava il linguaggio col linguaggio, espandendo i concetti, creando scarti semantici, andando a caccia dell’immagine esteticamente perfetta. È un vezzo che la narrazione deve pagare all’anima di filosofo dell’autore? La realtà è ben più complessa.
Nel testo, infatti, gli strumenti del linguaggio sono tutti al servizio di una critica radicale al nostro modo di pensare il non-umano:
Ma come si può definire la vita per negazione rispetto all’umanità – il non umano? Che atto di presunzione e cecità è quello per cui esiste il nostro dentro e poi il nostro non-dentro? Quanto ci perdiamo dell’esistenza e del bene delle cose?
È anche questo, in fondo, che il romanzo racconta: l’origine di una filosofia nata procedendo mano nella zampa.
Tra filosofia e poesia
La filosofia, però, non è il tema principale de Il cane e il filosofo. Essa, piuttosto, è strumento al servizio della sua architettura. I capitoli scritti dal punto di vista di Edoardo, infatti, dialogano con il pensiero di Ludwig Wittgenstein, riprendendo nei titoli alcuni aforismi. Non solo. La filosofia – quella di autori che, come Descartes, negano il pensiero agli animali – è spesso bersaglio polemico di questa narrazione.
A smussare gli spigoli vivi del filosofare, sorprendentemente, nel romanzo è la poesia. Infatti, titoli dei capitoli dal punto di vista di Pepe sono versi di Rainer Maria Rilke. È in questo modo, da una molteplicità sfaccettata di prospettive, che emerge dolcemente, eppure in modo disarmante, il tema del romanzo. Dal confronto tra razionalità e istinto, tra vaglio critico e bellezza immediata, tra distacco e immersione nel reale, emerge in noi gradualmente una consapevolezza. Che da un cane si può imparare la vita.
Il cane come maestro del vivere
Un cane può insegnarci a muoverci nel mondo. A guardare l’altro senza coprire con le nostre parole i suoi silenzi. Ad accarezzarne il volto. Ad aver cura di una vita che non è la nostra. Tutto ciò non ha niente a che fare con l’essere “padroni” di un cane. Anzi, questa espressione leggendo il libro di Caffo risulta fuori luogo, ridicola.
Ciò che un cane può insegnarci, racconta la vicenda, si apprende solo nella relazione benedetta tra due esseri di specie diverse che liberamente si scelgono. E non si tratta, come sa chi ha sperimentato questa relazione, di un insegnamento indolore. Perché cani e umani, inevitabilmente, abitano temporalità diverse, nella vita e nella morte. La relazione con il cane, pertanto, ci insegna soprattutto a esporci alla fragilità dell’amare qualcuno che esiste diversamente. Alla consapevolezza che, quando la vita ci porta lontani, di questa relazione perdiamo qualcosa che non potremo recuperare.
Un cane, un libro, una lezione da imparare
I cani, purtroppo, non sono eterni. Il nostro amore non può renderli più longevi. Ma allora che senso ha – domanda spesso chi non ha mai sperimentato questa relazione, oppure chi è ferito dal lutto – vivere con un cane? Il finale de Il cane e il filosofo a questo interrogativo offre, insieme a una risposta meravigliosa, una lezione di vita.
Vivere accanto a un animale, ma farlo per davvero, significa soprattutto questo: sopravvivere a parti di bellezza della nostra vita. Sopravvivere per loro, in un certo senso attraverso di loro. Sono come dei figli a cui il destino ci obbliga nel sopravvivergli. In ogni fiore, nuvola, persona ho trovato l’odore di quel cane bagnato che all’improvviso mi fa dire che tutto è bello. Che tutto è davvero bellissimo. Proprio ogni cosa, se sai osservarla, odora di Pepe. È l’odore di quella sfida meravigliosa che chiamiamo vita.
Valeria Meazza