Il paradosso tra la lotta al razzismo e il politically correct si è esteso anche allo spazio. In un recente comunicato stampa la NASA ha dichiarato che cambierà i nomi ritenuti offensivi e discriminatori dei corpi celesti come parte del suo impegno per la diversità, l’equità e l’inclusione.
«Questi nomi e termini possono avere connotazioni storiche o culturali discutibili o non gradevoli. […] Il nostro obiettivo è che tutti i nomi siano in linea ai nostri valori di diversità e di inclusione. Lavoreremo attivamente con la comunità scientifica per contribuire a garantire che ciò avvenga»
Per intenderci: in determinati casi la difficile nomenclatura astronomica fatta di lettere e numeri sarà preferita a certi soprannomi attribuiti in passato e che al giorno d’oggi risultano discriminatori, dunque non più tollerabili.
È il caso della “Nebulosa Eskimo” e della “Galassia dei gemelli siamesi”.
“Nebulosa Eskimo” è un nome discriminatorio, sarà chiamata solo NGC 2392.
La nebulosa planetaria NGC 2392 collocata nella costellazione dei Gemelli, è soprattutto nota come Nebulosa Echimese. “Eschimese” è un termine di origine coloniale poiché è stato imposto dai colonizzatori bianchi alle popolazioni indigene delle regioni artiche . I due gruppi etnici a cui il termine si riferisce – gli Inuit del nord del Canada e dell’Alaska e gli Yupik dell’estremità orientale della Russia – considerano il termine dispregiativo.
Le cosiddette “galassie siamesi” saranno note come NGC 4567 e NGC 4568.
Osservate dalla Terra le due galassie NGC 4567 e NGC 4568 che si trovano nella costellazione della Vergine appaiono accostate e quindi denominate “galassie gemelle siamesi”. La parola “siamese” però, nasconde una storia infelice. Il termine deriva da una coppia di gemelli originari del Siam, l’odierna Thailandia. I due fratelli erano uniti a livello del tronco e per questo furono trattati come fenomeni da circo per tutta la vita. Inoltre, l’utilizzo della parola finì per collegare ingiustificatamente la malformazione congenita e l’area geografica asiatica.
La NASA si posiziona in linea alla sensibilità culturale diffusa in America a seguito delle violente proteste contro il razzismo scatenate dalla morte di George Floyd. L’agenzia spaziale si aggiunge all’insieme aziende ed enti che hanno rivisto (a volte per evidente convenienza economica) i nomi discriminatori e offensivi dei loro prodotti o di loro stessi. I corpi celesti si aggiungono alla lista che include i casi – tutti americani – di Aunt Jemima, del Washington Football Team e dei Lady A.
La rivoluzione culturale che stiamo vivendo punta a combattere le ingiuste discriminazioni e a dare voce alle minoranze, ma si sa che la strada che porta all’inferno è lastricata da buone intenzioni.
Il politically correct rappresenta l’altra faccia della medaglia della sacrosanta lotta alla discriminazione. Le giuste preoccupazioni sull’inclusione rischiano, in alcuni casi, di indebolire il libero confronto e la tolleranza delle differenze in favore del conformismo ideologico. E’ giusto mutare e revisionare termini dal sottotesto razzista o sessista, però allo stesso tempo si rischia di arrivare a inutili esagerazioni o persino di ledere il diritto di parola.
Stabilire quali concetti siano legittimi o meno – la censura, di fatto – è una tendenza da totalitaristi più che da progressisti. La libertà d’espressione e di pensiero non dovrebbe mai essere messa in discussione.
È questione di equilibrio e di buon senso.
In medio stat virtus.