La rilettura dell’autore americano ci interroga sugli sviluppi della tecnologia: le previsioni di Dick diventano dei moniti su cui riflettere.
Siamo in grado di prevedere ciò che accadrà in futuro? Questa è una domanda che ha interessato gli uomini fin dall’antichità. Profezie, arti divinatorie, indovini hanno da sempre affascinato e, a volte, anche spaventato gli uomini. Le previsioni di Dick sono tra queste.
Philip K. Dick:
Eppure, senza scomodare le arti di preveggenza, basta a volte sfogliare qualche libro, di neanche troppi decenni fa per rendersi conto che, vuoi la fantasia, vuoi la capacità di vedere oltre, vuoi una vita del tutto particolare a tratti (molti tratti) “fuori dagli schemi”, qualcuno aveva già tratteggiato il 2021 negli anni ‘50.
Possibile? Possibile sì. Stiamo parlando di Philip K. Dick. Autore forse non molto conosciuto, almeno non tanto quanto i film tratti dai suoi scritti: Blade Runner, Minority Report, Atto di Forza. O altre serie uscite negli ultimi anni.
Autore di centinaia di racconti e di decine di libri, tra cui La svastica sul sole, Ubik e Il cacciatore di androidi. Dick, classe 1928, rimane segnato dall’esperienza della guerra. Esperienza che lo porta ad interessarsi ai conflitti umani praticamente in ogni suo scritto, in modo esplicito o meno.
Vita particolare quella di Dick. Autore di libri di fantascienza quando ancora non era considerata letteratura. É Dick stesso a raccontare quante volte gli venisse chiesto “e le tue opere serie?”.
Eppure per l’autore di questi testi scrivere non era solo lavoro. Era molto di più. Significava cercare di fare i conti con le sue visioni, nevrosi, paure e, soprattutto, con il passato.
La gemella di Dick era morta poco dopo il parto e l’autore sente di vivere tutta la sua esistenza nella ricerca di questo legame perduto. Verrà poi la diagnosi di schizofrenia, i numerosi matrimoni, la dipendenza da farmaci. Vita intensa quella di Philip K. Dick. Ma è proprio da essa che scaturiscono le sue visioni degli scenari futuri.
Le previsioni di Dick:
Negli anni in cui ci si approcciava appena alle nuove tecnologie nascenti, l’autore di Un oscuro scrutare già tratteggiava il mondo nel quale viviamo. Individui dipendenti dalla tecnologia, macchinari che monitorano costantemente le attività degli uomini, creazioni virtuali al limite della realtà.
È quest’ultimo infatti il punto focale del lavoro di Dick. Qual è il limite che separa virtuale e reale?
Attraverso questi interrogativi ci rendiamo conto che la sua analisi valica il nostro presente. Dick tratteggia mondi postbellici e guerre tra pianeti, scenari per noi – fortunatamente – ancora lontani.
Ma parla anche di mondi virtuali che si intrecciano con il reale, tanto da non far più riconoscere la fine dell’uno e l’inizio dell’altro.
Siamo davvero così lontani da questa “sovrapposizione di realtà”? Ci chiediamo davvero quanto la tecnologia stia influenzando le nostre vite?
La stessa robotica sta mostrando quanto il confine tra un umano e un robot possa essere assottigliato. Non a caso oggi si parla di transumanesimo.
Il post umano:
Potrà sorgere una comunità post umana?
I robot possiedono una “pelle” che sempre più imita la nostra, sia al tatto quanto alla vista. Una pelle che permette di riprodurre espressioni facciali del tutto umane.
Gli esperti del settore hanno dimostrato che con questi robot è possibile dialogare. Tanto da rendere la comunicazione perturbante per l’uomo: impercettibilmente fastidiosa, seppur affascinante.
Questo perché ci conduce a chiederci la vera natura dell’essere che ci sta di fronte. Robot, eppure così somigliante all’umano da portare quest’ultimo a confondersi.
Non è un caso che sia lo stesso Freud a parlare del perturbante come di ciò che è spaesante, ciò che riaffiora in noi non facendoci comprende appieno la differenza tra fantasia e realtà.
Ci sarebbe da chiedersi: gli umanoidi potrebbero arrivare ad assomigliarci così tanto da provare essi stessi il perturbante di fronte ad un umano?
Una delle previsioni di Dick porta ad interrogarsi sulle sorti di un robot che prendesse del tutto il nostro posto, al quale fossero impiantati i nostri ricordi, le nostre esperienze, il nostro vissuto; in altre parole un robot che credesse di essere noi in tutto e per tutto: cosa lo differenzierebbe da noi?
L’essere umani, ci verrebbe da dire. Certo. Ma “cosa ci fa essere umani?” L’empatia? Il dolore? La consapevolezza?
Probabilmente sì. Ma se esse scaturiscono da esperienze vissute, impiantando queste ultime in un cervello “meccanico”, potrebbero emergere?
Chi sono io?
In un racconto di Dick un uomo si sente accusato di essere un robot nemico e perciò condannato a morte. Ma lui, sentendosi umano, scappa. Fugge almeno fino al momento in cui si imbatte in se stesso, in carne ed ossa, morto. Ucciso da un robot che si era appropriato dei suoi pensieri. E che si era convinto di essere lui.
É Il senso di straniamento che proviamo ora, di fronte a questo racconto, ciò che ci rende umani? Sicuri di esserlo? Non è che ora, alzando lo sguardo da queste parole, possa sorgerci il dubbio di essere androidi a cui sono stati inseriti ricordi altrui?
Certo, è solo fantascienza, e ancora ci sarà chi si starà chiedendo, ma Dick, “non poteva scrivere delle cose serie?”
Caterina Simoncello