Questa mattina, a Palazzo Chigi, il presidente della CEI, il card. Bassetti, ha firmato un protocollo siglato con il presidente Conte e la ministra dell’Interno, per la ripartenza delle messe con i fedeli dal 18 maggio. E’ una scelta opportuna o, ancora una volta, lo Stato italiano si sta piegando a una battaglia strumentale della CEI?
Se qualcuno non avesse fatto caso, siamo da circa tre mesi in una situazione di pandemia che ha soppresso molte delle libertà costituzionali più importanti. Sulla bilancia dei diritti, quello alla salute sta sacrificando tutti gli altri. Non possiamo riunirci in associazioni e per muoverci sul territorio dobbiamo godere di una motivazione più che valida, diligentemente riportata sull’autocertificazione. Molti non possono ancora lavorare. Ci è rimasto fondamentalmente solo il diritto di lamentarci su Facebook. Non possiamo nemmeno andare a messa, neanche se volessimo.
Le pressioni della CEI
Questa mattina, però, a Palazzo Chigi, il cambio di rotta. Si può andare a tagliarsi i capelli? No. Si può fare una festa in casa? No. Si può entrare al supermercato in libertà? No. Semplicemente, il presidente della CEI, il card. Bassetti, ha firmato un protocollo siglato con il presidente Conte e la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese: dal 18 maggio via alle messe con i fedeli. Il presidente del Consiglio ha ringraziato la CEI per “il sostegno morale e materiale che sta dando all’intera collettività nazionale in questo momento difficile per il Paese”. La Camera ha approvato con un emendamento in mattinata: dal voto si sono astenuti Fratelli d’Italia e Lega, sorprendentemente. Due soli i voti contrari. L’accordo arriva dopo settimane di trattative: la CEI avrebbe voluto la riapertura delle messe al pubblico già a partire dal 4 maggio, con lo scattare della fase 2. In una nota del 26 aprile, la CEI aveva criticato con parole dure la prospettiva di non riaprire, parlando di compromissione della libertà di culto. Pace fatta, dunque, il Signore sia con voi.
Il benaltrismo e l’art. 19 della Costituzione
Ora, la tentazione di cadere nel benaltrismo può essere attraente. E’ facile dire: “Con tutti i problemi che abbiamo, si guarda a riaprire le chiese?”. In realtà, in un Paese laico come il nostro, la prospettiva dovrebbe essere più di ampio respiro, guardando a tutti i tipi di libertà di culto che in questa fase si sono viste private della propria casa, sia essa una chiesa, una sala del Regno, una moschea o qualsiasi altra stanza deputata alla spiritualità di gruppo. L’art. 19 della nostra Costituzione, quello relativo alla libertà di culto, non riguarda solo la religione cattolica che, in Italia, comunque, viaggia sempre su un binario istituzionale preferenziale. Non è fuori luogo porre sul tavolo la questione della libertà di culto ai tempi del Coronavirus: “Ci sono cose più importanti”, potrebbe dire chi aspetta che al proprio settore lavorativo venga dato il nullaosta per ripartire, come il proprietario di un cinema, un parrucchiere o un ristoratore.
Ad ogni modo, “non di solo pane vive l’uomo”. Professare la propria religione è comunque un diritto costituzionalmente garantito, che sta subendo delle limitazioni mai viste prima e di cui è giusto discutere. Per tutte le confessioni, però. La Ministra Lamorgese ha comunque dichiarato: “Analogo impegno abbiamo assunto anche con le altre Confessioni religiose”. Ma parrebbe che, per il momento, il protocollo valga solo per la messa.
Cosa prevede il protocollo?
Il protocollo siglato con la CEI parla di ingressi contingentati, con obbligatorietà delle mascherine. Non potranno entrare coloro che avranno una temperatura corporea pari o superiore ai 37,5° centigradi. La Comunione sarà distribuita con guanti e mascherina, senza contatto con le mani dei fedeli. Nel protocollo CEI si raccomanda poi di distinguere tra porte di ingresso e di uscita, lasciate comunque sempre aperte. Il distanziamento tra una persona e l’altra sarà di un metro. Ridotte al minimo le presenze anche dei celebranti, con la raccomandazione di sanificare al termine delle celebrazioni le aule liturgiche e le sagrestie.
Ma è sostenibile per una parrocchia riaprire?
Ora: riaprire in questi termini, tra 10 giorni, probabilmente, comporterà un addossamento di responsabilità non indifferente da parte dei parroci. Forse, grazie all’aiuto di collaboratori parrocchiali, da lunedì 18 maggio, sarà possibile celebrare in queste modalità le messe feriali, tendenzialmente meno partecipate. Il problema, però, in questo caso sta negli assembramenti di fasce anagrafiche delicate: chi potrà andare a messa in settimana, facilmente, avrà superato i 65 anni. Per le messe domenicali, però, come si procederà? Fare entrare tutti quelli che vorranno, spesso, non sarà possibile. Entrerà chi arriva per primo? Si aumenteranno le celebrazioni e, conseguentemente, le sanificazioni necessarie? Chi farà le sanificazioni? Dei volontari di buon cuore? Ma il buon cuore basterà, trattandosi di misure di igiene estremamente scrupolose? Chi controllerà il rispetto delle norme?
Ma soprattutto, perché tanta fretta da parte della CEI?
E’ vero che da qualche parte bisognerà pur ricominciare. Negli altri Stati, come in Germania, le restrizioni si stanno allentando. Però in Italia, sembra che ci sia una gestione schizofrenica della riapertura: non si capisce quale sia il criterio che abbia guidato la negoziazione delle regole inserite nel protocollo CEI sulle messe il 18 maggio e abbia negato, ancora per qualche settimana, la riapertura di molte attività commerciali. E’ solo la libertà di culto a far salire la CEI sulle barricate? Il sospetto è che no, non basti questo a un’istituzione navigata come quella dei Vescovi italiani. Molte parrocchie, bisogna dirlo, si sono organizzate con canali YouTube e dirette Facebook. In questa spiritualità virtuale, però, non si riescono a raccogliere le offerte dei fedeli, ad esempio. Questo potrebbe essere uno dei motivi principali alla base della richiesta della riapertura, mascherata sotto le vesti della libertà di culto. I sacerdoti hanno forse risparmiato sul riscaldamento, ma tutti gli introiti derivanti dagli incassi degli oratori, delle attività estive, dei pellegrinaggi e tutte le attività su cui, normalmente, le parrocchie marginano per sostenere restauri, stipendi di eventuali collaboratori e attività ricreative è congelato.
Soldi, ma non solo
Il problema, ancora una volta, è complesso. Anche in questo caso, la CEI sembra aver vinto un braccio di ferro un po’ strumentale, a cui lo Stato italiano, bisogna dirlo, si è docilmente piegato. Cambiano i governi, i partiti, i segretari, ma nell’esecutivo italiano alberga sempre quella asfissiante paura di deludere l’elettorato cattolico, che secondo i dati, si aggira attorno al 66,7% della popolazione. Dall’esterno, pare che la CEI abbia calcato un po’ la mano sulla libertà di culto, di cui si sono fatti paladini personaggi come Adinolfi, Salvini, Meloni ma anche Giachetti, facendone una battaglia ideologica. La CEI ha vinto, speriamo vinca anche la salute. Non si è nemmeno mossa attraverso la gigantesca figura di Bagnasco, ma ha portato a casa il risultato con il più remissivo cardinal Bassetti. Il sospetto, dunque, che dietro alla scelta di riaprire le chiese non ci sia un acuirsi delle necessità spirituali dei propri fedeli è forte, anche nel 2020, con un protocollo siglato all’insegna del “che Dio ce la mandi buona“.
Elisa Ghidini