La minga indigena: in 7.000 marciano sulla capitale colombiana

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Una marea umana si è riversata nella capitale colombiana lo scorso 19 ottobre. È la minga indigena che denuncia lo sterminio sistematico dei leader indigeni e chiede un confronto diretto con Duque.



La minga indigena

In 7.000 hanno marciato su Bogotá lo scorso lunedì 19 ottobre: membri e portavoce delle regioni indigene del sud ovest del paese, in particolare Cauca, Valle del Cauca, Nariño e Putumayo. Sono leader sociali, contadini, professori, studenti, ai quali si sono uniti esponenti delle comunità afro colombiane. Hanno viaggiato per giorni, percorrendo oltre 500 chilometri, a bordo di bus, camioncini e mezzi di fortuna.

Si definiscono minga indigena. La minga o mink’a è una parola quechua che indica il lavoro collettivo per il bene della comunità. Secondo Martha Peralta Epieyù, presidente del Movimento Alternativo Indigeno e Sociale (MAIS), la minga “è l’incontro in cui circola la parola, si pensa e si costruisce il Vivere Bene”. I manifestanti hanno fatto loro questo concetto precolombiano, trasformandolo in un atto di protesta.

La marcia su Bogotá

La marcia ha preso il via a Cauca e si è concentrata a Cali lo scorso 12 ottobre. I leader indigeni auspicavano un colloquio diretto con il presidente, per interrogarlo sulla crescente violenza anti indigena e sulla negligenza del governo.

Duque però ha inviato una delegazione guidata dal ministro dell’Interno Alicia Arango. In risposta a questo atteggiamento, i manifestanti hanno deciso di portare la loro protesta a Bogotá. Sulla strada, la lunga carovana di chivas ha organizzato concentrazioni nelle città di Armenia, Ibagué, Fusagasugá e Soacha.

Nemmeno a Bogotá il presidente ha accettato l’invito a un confronto diretto sulle politiche economiche e sociali del suo governo, commentando che il dialogo con i popoli indigeni non può essere inquadrato in un contesto politico.

La minga è invece stata accolta dal sindaco della città, Claudia Lopez, che, da un palco in mezzo a Plaza Bolívar, si è rivolta alla nazione e al governo, invitando Duque a “ascoltare la minga e le sue legittime richieste” .

I manifestanti si sono poi uniti allo sciopero nazionale del 21 ottobre indetto dai sindacati e dalle organizzazioni studentesche.

Cosa chiede la minga indigena al presidente Duque?

La marcia pacifica della minga vuole denunciare lo sterminio sistematico dei leader indigeni nelle regioni occidentali e sud occidentali del paese. Le violenze nei confronti dei portavoce delle minoranze indigene hanno conosciuto una crescita esponenziale a partire dall’accordo di pace del 2016. Le comunità che vivono in queste aree sono estremamente vulnerabili: si trovano sulla rotta del narcotraffico, oltre a essere obiettivo delle mire espansionistiche, legali e non, dell’industria estrattiva.




Secondo la ONG Indepaz, 640 leader indigeni e rappresentati sociali sono stati uccisi dall’elezione di Duque nel 2018, 233 nel solo 2020, mentre le vittime del processo di pace avviato in Colombia a partire dal 2016 sono 1.038. Nel 2020 sono stati registrati 65 massacri -indicando con questo termine l’uccisione di più di tre persone- ai danni delle comunità indigene.

Un’ulteriore, importante richiesta avanzata dai leader indigeni è che vengano rispettati i termini della pace stipulata nel 2016 tra il governo e le FARC e che vengano messe in atto le misure previste dall’accordo.

Quando le Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia si sono sciolte, sarebbe dovuto subentrare lo Stato, fornendo alle comunità servizi basici come l’educazione e la sanità. Ma così non è stato. La risposta del governo, invece di incrementare i servizi sociali, si è tradotta in una massiccia militarizzazione delle aree considerate pericolose. Nel frattempo si inasprisce il conflitto tra i gruppi armati indipendenti -che si contendono il controllo dei traffici illeciti prima gestiti dalle FARC-, i narcotrafficanti e i gruppi di guerriglia.

In questo poliedrico campo di battaglia, dove il fuoco nemico proviene da molteplici fronti, a ritrovarsi nel mezzo, vittime innocenti, sono ancora una volta le comunità indigene che, ogni giorno di più, restano senza voce, minacciate, depauperate della loro terra e private dei loro leader.

Camilla Aldini

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