Orientamento sessuale nelle forze armate: qual è la situazione?

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Le politiche verso l’orientamento sessuale nelle forze armate cambiano da Paese a Paese. Se molti Stati permettono alle persone LGBTQ di prestare servizio militare garantendo loro pari diritti, altri lo proibiscono. Alcuni, infine, non affrontano ancora la questione in maniera esplicita.

Attualmente, la maggioranza dei Paesi occidentali non adotta politiche di esclusione: dei Paesi partecipanti alla NATO, più di venti permettono a persone apertamente e dichiaratamente LGBTQ di prestare servizio militare.

Riguardo l’orientamento sessuale nelle forze armate, Stati Uniti, Regno Unito e Francia attuano una politica di totale accettazione.

Per decenni gli Stati Uniti hanno seguito la politica del Don’t Ask, Don’t Tell, che consentiva a omosessuali e bisessuali di servire nelle forze militari, mantenendo però il segreto di riservatezza e il celibato. Successivamente, il disegno di legge firmato da Barack Obama il 22 dicembre 2010 ha permesso anche a persone dichiaratamente LGBTQ di arruolarsi nell’esercito. Nonostante i cambiamenti politici che hanno consentito l’ingresso esplicito delle persone LGBTQ nelle forze armate – nonché il riconoscimento di alcune prerogative alle coppie militari dello stesso sesso – gli atteggiamenti omofobi sono ancora all’ordine del giorno; i soldati non sono obbligati a rivelare il loro orientamento sessuale e molti lo tengono nascosto per il timore di essere discriminati.

Anche altri Paesi seguono una politica di apertura.

Del Medio Oriente, Israele è l’unico Paese che accoglie nelle proprie forze armate le persone LGBTQ. Un atteggiamento simile, caratterizzato da un’ampia accettazione, è stato adottato dal Sudafrica. Medesima situazione in Spagna, Portogallo, Belgio, Paesi Bassi, Danimarca, Norvegia e Canada. In questi Stati le discriminazioni non sono consentite. La Repubblica Ceca non adotta ufficialmente politiche discriminatorie. Il Brasile accetta gli omosessuali nelle forze militari, ma spesso i soldati LGBTQ lamentano pregiudizi tra i propri colleghi. In America Latina (soprattutto in Cile, Bolivia e Argentina) l’argomento è stato ampiamente dibattuto negli ultimi trent’anni, con l’intento di raggiungere accordi.

Alcuni Paesi sono meno aperti, altri totalmente chiusi.

In Germania non è presente una legislazione proibitiva; tuttavia, viene richiesta una valutazione medica per verificare che l’orientamento sessuale non interferisca con le prestazioni militari delle reclute. In Grecia i soldati omosessuali incorrono nel licenziamento se il loro orientamento diviene pubblico. L’Ungheria ha un atteggiamento ancora più chiuso, in quanto raccomanda di non accettare l’omosessualità. In Russia lesbiche e gay sono esclusi dall’esercito in tempo di pace, ma in caso di guerra ad alcuni gay è consentito di prestare servizio. Il Lussemburgo non ammette gli omosessuali nelle forze armate e la Turchia vieta in maniera esplicita il loro arruolamento. In Cina gay e lesbiche sono messi al bando e la Polonia considera l’omosessualità un disturbo della personalità.

E in Italia?

Nel nostro Paese, nonostante diverse dichiarazioni contro le discriminazioni, le politiche riguardanti l’orientamento sessuale nelle forze armate ricalcano il Don’t Ask, Don’t Tell. Molti degli esponenti dell’esercito italiano hanno ancora forti pregiudizi verso la liberalizzazione dell’orientamento sessuale, la cui manifestazione in totale libertà è invece apertamente consentita nella Polizia di Stato.

LGBT Military Index : cos’è e a cosa serve?

Si tratta di un indice realizzato dal Centro di Studi Strategici dell’Aia. Esso adopera 19 indicatori per classificare più di 100 Paesi riguardo l’inclusione delle persone LGBTQ nelle forze armate. Nelle più alte posizioni troviamo quei Paesi che adottano una politica inclusiva, sostenendo e promuovendo apertamente la presenza di soldati LGBTQ all’interno del proprio personale militare. Invece, i Paesi collocati in fondo all’indice non percorrono la strada dell’inclusione.

L’orientamento sessuale nelle forze armate è irrilevante.

Basta un minimo di buonsenso per rendersi conto che l’orientamento sessuale di una persona non può incidere in alcun modo sulle sue prestazioni militari. L’American Psychological Association spiega che non esistono prove scientifiche a favore di questa assurda tesi, alimentata dal virus dell’omofobia e della discriminazione.

Annapaola Ursini

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