I nuovi movimenti di protesta giovanile africana

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nuovi movimenti di protesta giovanile africana sono volti a contestare i leader politici che non vogliono un ricambio generazionale e rimangono attaccati alla loro leadership per buona parte della loro vita, impedendo di fatto ai giovani di accedere alle cariche politiche.

movimenti di protesta giovanile african
Fonte: vita.it

 

 

 

I nuovi movimenti di protesta giovanile africana sono gruppi organizzati e iperconnessi tra di loro, nascono in seno alla società odierna, e sfruttano le moderne tecnologie per farsi conoscere. I giovani africani infatti hanno deciso di dire basta alla violenza per combattere il potere perché non porta da nessuna parte. Ecco che hanno incominciato ad organizzarsi e a stilare dei programmi volti a combattere le ingiustizie di una politica africana troppo spesso corrotta, che non ha mai pienamente raggiunto l’auspicata democratizzazione degli anni ’90, nè la tanto sperata rinascita economica del continente africano.

Questi ragazzi fanno sul serio e si sono spinti persino nelle sedi diplomatiche presentando il loro progetto. Filimbi, Inyina, Balai citoyen, Y’en a marre, sono movimenti di protesta giovanile africana che non nascono dal caso, molto spesso i loro leader hanno militato per anni nelle fila di movimenti sociali e sono mossi tutti dallo stesso obiettivo: denunciare la violazione dei diritti umani e della libertà di espressione, favorendo un ricambio generazionale. Come farlo? Con mezzi giovani e contemporanei: il loro punto di forza è l’organizzazione. Un’organizzazione che vede tutti i suoi membri in costante contatto attraverso la tecnologia social ma non solo, anche attraverso il teatro, la musica e i concerti che servono a far passare i loro messaggi più velocemente.

Le loro azioni se prima erano prese poco sul serio dalla politica e dai vertici militari africani, ora sono tenute in grande considerazione e appoggiate anche dall’Unione Europea che per l’Africa Week, settimana organizzata dal Parlamento europeo dove si discutono le questioni africane in ambito di politica estera, ha invitato i quattro leader dei movimenti di protesta giovanile africanaFilimbi, Inyina, Balai citoyen, Y’en a marre. La forza del loro messaggio che mira a svegliare i giovani africani e far prendere loro coscienza che sono il futuro dell’Africa, e che sono fautori del loro destino.

La nascita di questi movimenti nonviolenti se da un lato mi porta a fare un paragone con i movimenti di ribellione degli anni ’60 e ’70, che un po’ in tutto il mondo prendevano piede, dall’altro mi fa pensare invece a quel processo di imborghesimento del popolo africano fatto passare per democratizzazione dai paesi ricchi ed egemoni in quegli stessi anni e al suo netto allontanamento di questi nuovi movimenti giovanili. In particolare, la vicenda di Filimbi, Inyina, Balai citoyen, Y’en a marre mi ha portato alla mente un documentario realizzato da Pasolini nel 1970, chiamato Appunti per un’Orestiade africana che doveva anticipare un film mai realizzato sui paesi del Terzo Mondo, tra cui l’Africa. Il documentario reca immagini di luoghi e persone africane con l’obiettivo di rintracciare luoghi, volti ed oggetti per la trasposizione cinematografica dell’Orestea di Eschilo.

Così come l’Orestea consta di tre atti anche il documentario si divide in tre parti: nella prima in cui si vedono luoghi e uomini africani rappresenta il simbolo della società atavica, ancestrale che con i suoi riti e le sue tradizioni richiama il senso del sacro e del furore greco, la seconda parte vede un’intervista di Pasolini ad una classe di giovani studenti africani che hanno studiato all’estero e che si sono formati sui modelli di studio anglosassone e francese, ed infine la terza parte cantata e suonata in stile jazz che rappresenta la possibilità di rinascita del popolo africano attraverso la democrazia. Ecco, la terza parte per Pasolini è quella più importante. Nella figura di Oreste si riflette così la condizione di quella giovane élite intellettuale africana che si è formata all’estero, sul modello di studio anglosassone o francese, che torna in patria a fare la rivoluzione, e che può salvare l’identità del proprio popolo solo attraverso l’adozione di quegli strumenti politici che appartengono, in tutto e per tutto, agli usurpatori di cui ci si è liberati”. Ma questa democrazia auspicata da Pasolini nel suo dare fiducia a quelle nuove generazioni di africani si è concretamente realizzata? O forse, quegli stessi strumenti politici hanno finito per assoggettare ancora una volta un popolo, rendendolo di nuovo sottomesso, in un modo diverso, subdolo, per tenerlo sempre e ancora una volta soggiogato al conquistatore?

I movimenti di protesta per il ricambio generazionale africano sono oggi la prova che la “democratizzazione” non ha fatto altro che rendere i conquistati uguali a quegli stessi conquistatori che volevano combattere. Smockey, leader di Balai citoyen afferma: “A me interessa solo che i giovani acquisiscano una coscienza politica e che prendano per mano il loro destino. Nessuno lo farà al posto loro, nessuno. Men che meno gli intellettuali. Sono parte in causa del fallimento del sistema, perché pensavano di cambiare le nostre vite dalle loro cattedre. Invece se vuoi essere credibile devi mettere le mani nel fango. E più metti le mani nel fango, meglio capisci le sofferenze immane della piccola gente”. Nel XXI secolo, Filimbi, Inyina, Balai citoyen, Y’en a marre  tentano di dimostrare che un’altra democrazia, quella vera è possibile, senza l’ombra dell’oppressore, quella del furor africano.

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