L’inclusività è un tema molto sentito nella società odierna e, in un’ottica consumistica, diventa spesso un selling element; ecco perché alcuni prodotti fanno uso del queerbaiting.
Si pensi a una serie TV o a un film o, ancora, a una linea di abbigliamento; l’inclusività è spesso promossa come una dote del prodotto e viene sfruttata per aumentarne l’accoglienza tra il pubblico. Tuttavia, talvolta tale caratteristica è solo un mezzo per creare pubblicità: un po’ come il greenwashing, anche l’inclusività può essere di facciata, sfruttando, tra gli altri, il queerbaiting.
Cos’è il queerbaiting
Si tratta, letteralmente, dell’adescamento (bait è traducibile con esca) del pubblico queer. Spesso collegato a prodotti popolari – in particolare serie TV – il queerbaiting è dunque la tendenza a inserire personaggi e relazioni tra personaggi potenzialmente queer, senza però concretizzarle e non rendendole canoniche nella narrazione.
Si tratta di un espediente che vuole attirare il pubblico queer, facendo leva sulla ricerca di rappresentazione e di inclusività che alcune categorie ancora discriminate necessitano; il tutto, però, senza indispettire il pubblico conservatore: guadagnare una fetta di audience senza perderne un’altra.
Queerbaiting: un’inclusività di facciata
Il queerbaiting rappresenta dunque un’inclusività di facciata, che non pone sullo stesso piano tutti i tipi di relazione. Non si tratta, infatti, di narrazioni particolarmente pudiche: la rappresentazione di relazioni etero è spesso presente e talvolta sfruttata per attirare parte del pubblico.
Al contrario, le relazioni queer vengono solo insinuate, portando parte dell’audience a seguire la narrazione nella speranza di futuri sviluppi, ma la narrazione stessa si limita a suggerire tali legami senza confermarli.
Il risultato può essere dannoso
Questo può ovviamente avere effetti collaterali molteplici: dal punto di vista qualitativo a quello sociale, sono diversi i risvolti negativi del queerbaiting.
Anzitutto, partendo dalle conseguenze meno gravi, tale strategia attira sì una fetta di pubblico aggiuntiva senza perdere quella più conservatrice, ma tale nuova fetta molto probabilmente non genererà un passaparola positivo, muovendo critiche al prodotto e puntando il dito sul trattamento iniquo di relazioni etero e queer.
Soprattutto, però, il queerbaiting delegittima la dignità delle relazioni queer e priva chi si identifica in tale categoria di personaggi in cui rispecchiarsi. Inoltre, si perde l’occasione di sensibilizzare la fetta conservatrice del pubblico: le narrazioni sono un ottimo strumento per ampliare le conoscenze e la sensibilità dell’audience. Introducendo con equità personaggi queer, anche lo spettatore che non appartiene alla categoria può sviluppare una maggiore empatia verso categorie ancora oggi discriminate.
Il queerbaiting è, insomma, un modo per assicurare la ricezione massima di una narrazione, perdendo però una grande opportunità di inclusività.
Angelica Frigo