Renzi Avanti! C’è un tombino aperto
Renzi ha scritto un libro nel quale pare non sia tolto il vizio di far promesse. Noi non possiamo quindi non fargli i nostri più sinceri e sentiti auguri affinché non gli venga concessa la rinnovata occasione di non mantenerle. Credo di aver fatto la più esauriente e completa sintesi della “sfatica” letteraria dell’ ex premier alla finocchiona.
Il guaio non è che scrive – anche perché dubito vada oltre i 140 caratteri senza sentire d’improvviso l’allarmante avvisaglia di una lancinante fitta alle tempie che lo riporta d’amblé al consueto stato di stasi catatonica -ma che lo pubblicano. Allora non è lui… siamo noi i cogli**i.
Un altro bel risultato consiste nell’estinzione de l’Unità.
Onestamente poco mi interessa se adesso il Pd pubblica una sorta di “freepress” ciclostilato in digitale – reperibile comodamente in tutti i supermercati del web – credo, infatti, rappresenti l’emblematica chiosa al tutto, la parabola in caduta libera che meglio sintetizza la sostanza degli attori in gioco. Quindi ben venga la carta del “menu” del Pd: dove Rondolino è la panna cotta venduta a prezzo del beluga e Romano è il vino annacquato spacciato per “specialità della casa” (che è fatto coi piedi è sotto gli occhi di tutti). Hanno finalmente il posto che meritano: un chiassoso e clientelare anonimato. Nulla di più pluralista e corale di un “organo” di partito assemblato dalle più eccelse e rappresentative teste di ca**o.
Sul quotidiano storico fondato da Gramsci che dire? Meglio ibernato che mignotta! Ne ha viste di tutti i colori. Credevo che dopo la direzione D’Alema avesse toccato il fondo ma al peggio non c’è mai fine. Il povero Staino si è sentito pugnalato alle spalle: però quando bazzicavano in redazione certi soggetti una mezza idea se la poteva anche fare… no? Non è necessario assistere a tutta la Traviata per capire che Violetta non fa una bella fine; già nel primo atto la disgraziata mi dinoccola e ha un mancamento… proprio se uno ci tiene.
No, Staino no! Egli credeva – come tanti di noi – nel peso di quel trafiletto sempre più risicato sotto la testata, aveva una fiducia storica e ideale in quella frase: “Fondata da Antonio Gramsci nel 1924”.
L’Italia è un paese in cui l’editoria ha ormai un solo padrone, la mediocrità, e sotto questo aspetto Matteo è di una coerenza degna di Zenone. Egli non è altro che il risultato di un trentennio di pura e semplice “decadenza”; niente di più, niente di meno. I barbari ce li siamo fabbricati in casa, e gli ingredienti li abbiamo reperiti nella più florida e triste messe sociale a disposizione: quella dove fiorisce l’arricchito di provincia, letteralmente il “parvenu del parvenu”. Sono bastate tre generazioni di intrallazzo locale ed ecco il risultato: l’arroganza più becera e dozzinale spacciata per intraprendenza.
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