Risposta: una novella di Pirandello come rimedio ai disastri d’amore

Dalla parte di chi lotta per essere riconosciuto, dell'essere umano e dei suoi diritti.
Contribuisci a preservare la libera informazione.

DONA

Cuore spezzato, nervi a fior di pelle, travaso di bile per una delusione d’amore? Una novella di Luigi Pirandello, Risposta, può essere di grande aiuto a rimettere le cose in prospettiva.

A tutti, prima o poi, capita una delusione d’amore. Pianti a dirotto, scatti d’ira per un nonnulla, recriminazioni. E poi, la fatidica domanda: «Mi avrà amato davvero, o mi ha solo preso in giro?». Peggio delle cattiverie ricevute, dell’indifferenza, di un tradimento vero o presunto, è questo inarrestabile rovello interiore. Possibile amare senza realmente mai conoscere l’oggetto d’amore, prendendo quindi una cantonata così colossale? C’è da uscirci pazzi! O forse no. Forse c’è solo da consultare quello straordinario terapeuta che è Luigi Pirandello. Che nella novella Risposta, pubblicata nel 1912 su Il Corriere della Sera, formula un’analitica delle cantonate amorose imperdibile. Da leggere almeno una volta nella vita per profilassi, tornandovi per buona misura ogni volta che ci spezzano il cuore (o le corna).




Risposta: la trama della novella

Ripubblicata nel primo volume delle Novelle per un anno edito da Bemporad nel 1922, Risposta ha una trama molto semplice. Un anonimo narratore racconta di essere stato interpellato da un giovane amico, il ventiquattrenne Marino, riguardo una faccenda spinosa che gli ha levato il sonno. Costui, infatti, è povero e senza mezzi, poiché col suo modesto impiego deve mantenere sé stesso, la madre e la sorella. E tuttavia egli è innamorato della bella Anita, che forse lo contraccambia ma è orfana di padre e senza dote. Lei e la madre sono sotto l’ala protettrice dell’ultrasessantenne Commendator Ballesi, amico del defunto padre di Anita. Commendatore che, dopo averla vista diventare una giovane donna, s’è messo in testa di sposarla.

Il caso sarebbe già delicato, ma le cose si complicano ulteriormente quando Anita e la madre, a spese di Ballesi, partono per la villeggiatura. Qui, infatti, la ragazza conosce l’aitante Nicolino Respi, che la salva da un incidente in mare e rimane conquistato dalla sua bellezza. E Anita non si dimostra insensibile al piacere sottile di essere corteggiata, tutt’altro. Anzi, quando Marino la raggiunge e, dopo una passeggiata sotto la luna, non coglie l’occasione propizia, la ragazza sembra non avere problemi a sostituirlo. Finendo per farsi cogliere appartata sugli scogli proprio con il belloccio nuotatore.

Proprio per questo Marino, disperato, si rivolge all’amico. Era dunque tutta pura e semplice civetteria, amore non ce n’era e lui è semplicemente stato fatto fesso? Inaspettatamente, il suo interlocutore invita il giovane alla calma. Dandogli una risposta scomoda, profonda e non priva di un pizzico d’ironia.

L’alternativa pirandelliana a “è solo un/a grandissimo/a strxxxo/a”

«Non sarà semplicemente un/a grandissimo/a strxxxo/a e io non ho voluto vedere?». Questa la domanda che, come a Marino, è balenata nella mente di tutti noi almeno una volta. E sì, la legittima tentazione di affibbiare all’altra persona ogni sorta di catartico epiteto è senz’altro molto forte. Eppure, mette in guardia il saggio amico di Marino, le cose potrebbero essere un po’ più complicate. Costui, infatti, dice al giovane:

Do dunque torto a te? No. Alla signorina Anita? Neppure. Oh Dio, lasciami dire, lasciami seguire il mio metodo. Credi, amico mio, che il tuo caso è vecchissimo. Di nuovo, di originale, qui, non c’è altro che il mio metodo, e la spiegazione che ti darò.

Il metodo è quello di un’attenta e distaccata esposizione dei fatti, badando alla prospettiva di tutti gli attori coinvolti. Compresa, dunque, quella di Anita. E quanto alla spiegazione? All’amico deluso il narratore dice:

Tu credi, caro Marino, d’aver sofferto un’atroce disillusione. Perché hai veduto all’improvviso la signorina Anita orribilmente diversa da quella che conoscevi tu, da quella ch’era per te. Sei ben certo, adesso, che la signorina Anita era un’altra. Benissimo. Un’altra, la signorina Anita è di certo. Non solo; ma anche tante e tante altre, amico mio, quanti e quanti altri son quelli che la conoscono e che lei conosce. Il tuo errore fondamentale, sai dove consiste? Nel credere che, pur essendo un’altra per come tu credi, […] la signorina Anita non sia anche, tuttora, quella che conoscevi tu. La signorina Anita è quella, e un’altra, e anche tante altre. Perché vorrai ammettere che quella che è per me non sia quella che è per te. Quella che è per sua madre. Quella che è per il commendator Ballesi. E per tutti gli altri che la conoscono, ciascuno a suo modo.

Un piccolo, tragicomico errore di prospettiva

Secondo il narratore, cioè, Marino soffre tanto ed è così offeso a causa di un errore di prospettiva. Il giovane crede che la sua Anita sia sempre, con lui e con gli altri, una e la medesima. Ma questa è un’illusione: infatti, noi

crediamo in buona fede d’esser tutti, ogni volta, in ogni nostro atto; mentre purtroppo non è così. Ce ne accorgiamo quando, per un caso disgraziatissimo, all’improvviso restiamo agganciati e sospesi a un atto solo tra i tanti che commettiamo. Ci accorgiamo bene, voglio dire, di non esser tutti in quell’atto. E che un’atroce ingiustizia sarebbe giudicarci da quello solo. Tenerci agganciati e sospesi a esso, alla gogna, per l’intera esistenza, come se questa fosse tutta assommata in quell’atto solo.

Proprio questa ingiustizia starebbe commettendo Marino nei confronti dell’amata, idealizzandola e riducendola a tutto e solo ciò che lui ha idealizzato di lei.

L’hai sorpresa in una realtà diversa da quella che le davi tu. E vuoi credere adesso, che la sua vera realtà non sia quella bella che tu le davi prima. Ma questa brutta in cui l’hai sorpresa insieme col commendator Ballesi di ritorno dallo scoglio con Nicolino Respi.

E dunque qual è il consiglio che il narratore, con la sua risposta, dà all’amico? Di perdonare Anita e, se è quel che il cuore chiede, di continuare ad amarla e goderne la compagnia. Senza farsi troppi problemi, ma con un caveat:

Non pretendere che ella sia una e tutta per te. Sarà una e tutta per te sincerissimamente. E un’altra per il commendator Ballesi, non meno sinceramente. Perché non c’è una sola signorina o signora Anita, amico mio. Non sarà bello, ma è così.

Insomma, caro Marino: vivila come viene. Magari, dopo aver fatto piazza pulita della concorrenza di Nicolino Respi, se puoi!

Risposta: stare dall’altra parte del rasoio di Ockham

«E dai, ti pare che dobbiamo complicare le cose semplici in questo modo?», mi si potrebbe dire.
«Anita, Marino non ce ne voglia, è quello che è: cioè una grandissima…», starà certo pensando qualcuno.

Legittimo. In fin dei conti, la novella Risposta cozza violentemente con un principio filosofico che la nostra cultura sembra, riguardo le questioni interpersonali, aver adottato appieno. Cioè il rasoio di Ockham, principio metodologico che prescrive (spiegato sbrigativamente – per una spiegazione più corretta, vedi qui) di adottare, tra le molteplici soluzioni di un problema, quella più semplice. Perché, ammettiamolo: è indubitabilmente più semplice (dal punto di vista cognitivo ed emotivo) condannare l’altra persona che cercare di capirla. Specialmente quando siamo feriti nei sentimenti o nell’orgoglio.

Se, però, siamo un minimo onesti con noi stessi non ci può sfuggire che non abbiamo sempre e solo sofferto, nelle questioni di cuore. Qualche volta, per una disattenzione, per un errore, per immaturità o per qualsiasi altro motivo, ci sarà capitato anche di far soffrire. E allora, come la mettiamo?

«È diverso», «Ero più giovane», «Stavo attraversando un periodo difficile», «È stato un colpo di fulmine, anche se avevo già una relazione». Risposte accettabili, perfino condivisibili, ma che evidenziano un dato di fatto. Cioè che è facile trovare degli alibi e delle attenuanti, quando si tratta di noi. Con Risposta, invece, Pirandello ci costringe a ricordare una realtà scomodissima. Che nel corso di una vita abbiamo giocato tanto un ruolo quanto l’altro nella commedia che è l’amore.
Abbiamo lasciato e siamo stati lasciati. Qualche volta non siamo stati del tutto onesti e altre ci siamo sentiti traditi. Forse siamo stati scorretti, oltre a subire un torto.
E, in fondo, va bene così.

Valeria Meazza

Stampa questo articolo