“Invece di essere in relazione e in contatto con il nostro amore, il nostro odio, la nostra paura, i nostri dubbi, e con tutte le emozioni fondamentali dell’uomo, ce ne teniamo a debita distanza. Siamo in rapporto con un’astrazione, vale a dire siamo privi di relazionalità. Viviamo in un vuoto e, per trarci d’impaccio, riempiamo questo vuoto, questo buco, con parole, astratti segni di valore, routine.”
Erich Fromm e il sentimentalismo moderno
Il passo sopra riportato è ripreso dal saggio “I cosiddetti sani” di Erich Fromm. In questo libro l’autore indaga sulla salute mentale dell’uomo moderno, trovandoci tra le diverse patologie quella del sentimentalismo . Il saggio è scritto tra gli anni ’50 e ’70, e sembra profetico se comparato alla realtà di oggi.
Una delle varie conclusioni raggiunte dallo scrittore è stata quella di identificare, nel mondo occidentale moderno, un sempre crescente distaccamento degli individui dalla realtà. Questo, secondo Fromm, è dato dal fatto che tutte le culture/società “pretendono dall’individuo degli atteggiamenti psichici che possono indurre dei processi patologici”. Secondo lo scrittore, la nostra attuale società “induce una crescente incapacità di avere un rapporto diretto con la realtà”. Più che di apatia, dove l’individuo tende a non provare nessun tipo di emozioni, Fromm parla di alienazione.
“Non abbiamo più alcun rapporto con i nostri sentimenti, con quello che proviamo veramente: la nostra felicità o infelicità, la paura, il dubbio, e tutto ciò che si verifica nell’uomo. Abbiamo perso ogni contatto con i nostri simili e con la natura, e siamo in rapporto esclusivamente con quel frammento di mondo che noi stessi abbiamo creato. In realtà, la sola idea di entrare in contatto con qualcosa di più profondo ci riempie di angoscia.”.
Il sentimentalismo moderno come stratagemma per by-passare il problema.
Come scritto in precedenza non si tratta di un vuoto apatico (in questo caso perchè seguire con l’articolo?). Si tratta invece di un vuoto dato dalla mancanza di introspezione e di pensiero critico con noi stessi. Mentre non lavoriamo su noi stessi, la mente, che svolge la sua mansione, immagazzina tutte le emozioni, senza avere la possibilità di manifestarle o liberarle. Per farlo, infatti, è necessaria la coscienza delle ultime, e in caso contrario? La naturale necessità di manifestare emozioni ha creato, nell’uomo moderno, uno stratagemma ben adattatosi ai tempi d’oggi. Uno tra i vari è l’atto di commuoversi attraverso i film, per esempio (scrive Fromm negli anni ’60).
Non potendo agganciarsi ad emozioni del mondo reale ,infatti, la mente crea dei concetti astratti e stereotipati come “onore”, “patriottismo”, “rivoluzione”, “felicità”, “sofferenza” ecc. Tutti concentrati di forte emotività. Ed è esattamente quando ci scontriamo con questi concetti astratti che l’emotività repressa nel tempo può finalmente trovare sfogo.
Ecco perchè quando nel film vediamo una donna vincere centomila euro al lotto, ci commoviamo, mentre vivendo, lo stesso giorno, una situazione con forte carica emotiva nella vita reale, rimaniamo impassibili. Questo perchè non siamo connessi con la realtà, con i nostri stessi sentimenti, con la natura. Abbiamo disperatamente bisogno di input esterni, senza i quali impazziremmo (in qualche modo deve pure fuoriuscire l’emotività…).
Sentimentalismo moderno nell’era digitale
Tutto quello scritto in precedenza riguarda la situazione che genialmente ha intravisto Fromm già negli anni ’60. Nonostante in pochi oggi si riconosceranno in queste parole, la verità è che, almeno in occidente, la maggior parte di noi già vive in questa condizione mentale e quasi tutti inconsciamente, pensateci! Siamo figli delle culture.
Tanto di tutto ciò è dovuto al nuovo mondo virtuale sul quale pian piano tutti ci stiamo trasferendo, la realtà digitale. Un mondo che sempre di più ci allontana dalla realtà (terrena) e quindi dalla conoscenza di noi stessi. Quello appena scritto non è un pensiero “apocalittico”(per dirla alla Eco) ma una semplice radiografia della realtà di oggi, che ha i suoi lati positivi e negativi. Per comprendere meglio il concetto è doveroso fare qualche esempio di vita quotidiana.
Mentre, per esempio, ci troviamo belli rilassati in bagno a scrollare la nostra feed piena di notizie, ci imbattiamo in un video denuncia sugli allevamenti intensivi. Video che mostrano la sofferenza degli animali (cosa di cui è realmente fatto il cibo che compriamo al reparto carne del supermercato).
L’intento di chi pubblica questi video è quello di creare un forte rapporto emotivo con la realtà delle cose, che in questo caso è la morte e tutte le connotazioni che essa può evocare. Il problema, però, sta nelle effettive visualizzazioni. Quanti di noi guardano questo video per più di 10 secondi? E dopo le prime strazianti urla degli animali, in quanti rimangono a guardare il video? Se ci pensate, una tra le esperienze dirette della realtà è proprio la morte e l’accettazione di essa. Ma noi tendiamo ad occultarla, non ne sopportiamo neppure una consapevolezza superficiale. Alla fine il video non lo guardiamo, scappando così un’altra volta dal reale.
Universo social, troppe emozioni?
Un altro esempio può essere quello della famosa feed (Facebook, Instagram o qualsiasi piattaforma) sulla quale passiamo sempre più tempo (lo stesso tempo che sempre di meno usiamo per rimanere soli con noi stessi e scoprirci un po’). Una feed piena di notizie e foto: un parco giochi di emozioni? Sì. Ma di emozioni superficiali, grezze, acerbe (di tempo per goderne e rifletterci non ce n’è), perchè mentre scrolli sta già arrivando la prossima notizia, e dopo un’altra ancora.
Le emozioni superficiali però, come scritto all’inizio dell’articolo, sono difficili da liberare per la mente. Immaginate quindi di quante di esse si ciba la nostra mente quotidianamente. Dovrà pur trovare un modo per disfarsene… Il modo più naturale è il pianto. Per chi riesce a farlo da solo, bene! Per chi no, la ricetta è quella della visione di qualche film su Netflix. E per chi ha un po’ di tempo in questa frenetica realtà, una piccola frenata con l’obiettivo di guardarsi dentro, non può che giovare alla vostra psiche.
Una probabile soluzione
La prima soluzione che propone Fromm a questa sempre più tragica situazione che ci rende sempre meno umani (in lato emotivo) è la fondazione di un nuovo umanesimo. Cioè una branca scientifica che possa mettere la salute dell’essere umano al centro dell’interesse (nel ’60 non c’era ancora l’emergenza climatica). Oltre a questo, inutile dire, che è consigliabile riprendere una fluida,investigativa e divertente “conversazione con noi stessi”, almeno un poco di tempo al giorno. Reimpariamo a vivere in relazionalità con la realtà, le più belle storie che il passato ci ha offerto sono nate proprio così!