Strana e non proprio eufonica, quasi tutti l’abbiamo sentita almeno una volta: da dove arriva, però, la parola “serendipità” e cosa significa? Spoiler: non si tratta di un neologismo peregrino, ma di una parola dall’origine antichissima, che affonda le sue radici in una fiaba.
Serendipità: quando si parla di pensiero positivo, anche se non è popolare come resilienza, questo termine è come il prezzemolo. Qual è il suo significato, però, e quale la sua etimologia?
Serendipità è, in effetti, una parola d’autore. A coniarla fu, nel XVIII secolo, lo scrittore Horace Walpole. In una lettera del 28 febbraio 1754 a un amico che risiedeva a Firenze, lo scrittore la usava per descrivere una fortunata scoperta non pianificata. A Horace Mann, destinatario della missiva, Walpole scriveva infatti:
Una volta lessi una favoletta dal titolo I tre prìncipi di Serendippo. Viaggiando, i principi continuavano a fare scoperte per accidente e per sagacia. Trovavano continuamente cose di cui non erano in cerca. Per esempio, uno di loro scoprì che un mulo cieco dall’occhio destro era passato da poco per la stessa strada, dato che l’erba era stata mangiata solo sul lato sinistro. Ora capisce la serendipità? Deve notare, peraltro, che nessuna scoperta di cosa che si stia cercando può ricadere sotto tale descrizione. Un esempio nella vita reale viene dal mio Lord Shaftesbury. Il quale, capitato a pranzo dal Lord Chancellor Clarendon, si accorse del matrimonio del duca di York e di Mrs. Hyde. Come? Dal rispetto con cui la madre di quest’ultima trattava la figlia a tavola.
L’utilità di trovare qualcosa che NON si sta cercando
Descritto così, il concetto di serendipità potrebbe apparire un po’ peregrino. Invece, può aiutarci a capire in modo utile e interessante il funzionamento di molti campi del sapere.
Come suggerito dal sociologo statunitense Robert K. Merton nel 1948, la serendipità è una componente ineludibile della ricerca scientifica. Infatti, mentre il metodo sperimentale prevede la ricerca di elementi che confermino la prospettiva teorica del ricercatore, la serendipità può produrre cambiamenti di paradigma significativi. Fare buona ricerca, pertanto, implica non solo raccogliere dati e prove, ma restare anche sensibili all’inatteso, agli elementi eventualmente dissonanti. Se l’importanza della serendipità appare esagerata, basti pensare alle scoperte che ne sono state il frutto. Ne sono un esempio la scoperta dell’America, in cui Colombo s’imbatté cercando le indie, oppure la dinamite da parte di Alfred Nobel. Ma anche la penicillina, il prozac, il viagra, l’esistenza e l’impiego dei raggi X. Nonché il cellophane, il forno a microonde, il velcro e, più di recente, l’esistenza dei neuroni-specchio.
Anche il campo umanistico, d’altra parte, non va esente dagli effetti positivi della serendipità. Come? La spiegazione migliore è stata offerta dal poeta Andrea Zanzotto, che ha scritto:
Quando si scrive una poesia è frequente la serendipità: miri a conquistare le Indie e raggiungi l’America.
All’origine della serendipità: la fiaba dei tre principi di Serendippo
Dunque, come apprendiamo dal frammento della lettera di Walpole, all’origine del termine serendipità c’è una fiaba che riguarda tre principi. E un luogo, Serendippo (che sarebbe poi il nome persiano dello Sri Lanka) che i tre giovani devono lasciare e cui poi faranno ritorno. Tradotta nel 1548 da Cristoforo Armeno per i lettori occidentali, cosa racconta, nello specifico, la novella?
Essa riporta che Giafar, il re del potente regno di Serendippo, aveva tre figli, tre giovani generosi, intelligenti e coltissimi. Li aveva fatti educare dai più grandi intellettuali del regno, ma non aveva potuto dare loro attraverso i libri l’esperienza del mondo. Perciò, prima che raggiungessero l’età di succedergli sul trono, fece loro lasciare il regno, spronandoli a viaggiare. I tre giovani, affascinati da molti Paesi dei quali avevano imparato tra le pagine usi e costumi, decisero così di visitarli di persona. Nel farlo, però, andarono incontro a molte avventure, trovandosi a scoprire (un po’ per caso e un po’ per intuizione) cose che non si aspettavano.
In particolare, giunti nel potente regno dell’imperatore Bahrām, andarono incontro a una piccola disavventura. Mentre attraversavano il paese, infatti, s’imbatterono in un cammelliere disperato per aver perduto un suo cammello. Pur senza averlo incontrato, basandosi su indizi contestuali i principi seppero indicare all’uomo l’aspetto e la direzione presa dal cammello. L’uomo la seguì, ma non riuscì a trovarlo; così, incontrando i giovani il giorno seguente, si mise in testa che glielo avessero rubato loro. Perciò, li fece arrestare. Dapprima i tre principi, spaventati, mentirono per cercare di salvarsi, inventando di aver voluto burlarsi del poveretto. Non venendo creduti, però, furono messi a morte. Poco prima che il boia calasse la scure, però, arrivò trafelato un altro cammelliere, spiegando di aver ritrovato l’animale smarrito e scagionando i principi.
Come facevano i tre principi a sapere sul cammello tutto ciò che sapevano, se non erano loro i ladri?
L’imperatore Bahrām era piuttosto perplesso e, pur non volendo più giustiziarli, non era disposto a lasciarli andare senza una spiegazione convincente. Che, puntualmente, arrivò.
I tre principi di Serendippo, infatti, erano eccezionali osservatori. Avevano capito che il cammello smarrito era cieco da un occhio e aveva perso un dente osservando l’erba ai lati della strada. Quella più verde e fresca, sul lato destro, era stata completamente ignorata; quella sul lato sinistro era stata brucata in modo irregolare, con tagli diseguali. Inoltre, i giovani avevano capito che portava una bisaccia di burro e una di miele. Infatti, avevano visto torme di formiche, attirate dal grasso, e di mosche, attirate dal miele, radunarsi sulle gocce vicino alle impronte. Queste, poi, raccontavano molto chiaramente che l’animale era zoppo. E che portasse una donna incinta era risultato evidente quando, fermatosi a fare i propri bisogni, uno dei tre per curiosità aveva fiutato dell’urina. Dall’odore, aveva capito subito fosse quella di una donna. E a rivelare il suo avanzato stato di gravidanza erano state le impronte delle mani, poggiate sul terreno per tenersi in equilibrio. Nonché per riuscire poi a risollevarsi.
Molto colpito dalla sagacia dei tre principi, l’imperatore volle che restassero alla sua corte come consiglieri personali. Fu una scelta, anche in questo caso, improntata a una serendipità quasi sfacciata. Infatti, grazie alle loro abilità i giovani non solo lo consigliarono per il meglio, ma riuscirono addirittura in più occasioni a salvargli la vita.
Anche alla luce della fiaba persiana da cui trae origine, si può proprio dare ragione al biomedico americano Julius H. Comroe, che ha scritto:
Che cos’è la serendipità? Semplice: è cercare un ago in un pagliaio e trovarci la figlia del contadino!