Il 6 febbraio, il sindaco di Cremona si indigna all’apparire di un volantino che include – tra le varie contromisure per contenere i danni ambientali – anche quella di mettere al mondo meno figli per salvare il clima.
Urta il buon senso, sconvolge addirittura, che la nascita di un bambino possa essere vista come qualcosa di negativo, di deleterio per l’ambiente. Le proteste arrivano soprattutto da posizioni di destra, ma anche la sinistra potrebbe rivendicare qualcosa, al riguardo: anni di lotte femministe per i diritti alla maternità verrebbero scardinati tutti in un colpo e senza apparente ragione.
Solo follia, la richiesta di mettere al mondo meno figli per salvare il clima?
Vediamo cosa dicono, al riguardo, le statistiche: a livello globale l’earth overshoot day (giorno di sovrasfruttamento delle risorse) nel 2019 è stato il 29 luglio, una data che si è spostata indietro di due mesi negli ultimi vent’anni. Il che significa che “l’umanità sta usando attualmente la natura 1,75 volte più velocemente di quanto gli ecosistemi del nostro pianeta siano in grado di rigenerare. È come se utilizzassimo le risorse di 1,75 pianeti Terra. Il sovrasfruttamento è possibile perché stiamo esaurendo il nostro capitale naturale – fatto che compromette la sicurezza delle risorse future dell’umanità. I costi di questa sovraspesa ecologica globale stanno diventando sempre più evidenti sotto forma di deforestazione, erosione del suolo, perdita di biodiversità o accumulo di anidride carbonica nell’atmosfera. Quest’ultimo porta al cambiamento climatico e ad eventi meteorologici estremi più frequenti”.
Va anche considerato che il pianeta Terra costituisce un sistema chiuso e la quantità di risorse disponibili è pertanto limitata. Di conseguenza, più la popolazione cresce, più cresce il problema.
Inoltre, una massa antropica in aumento depaupera in maniera consistente gli ecosistemi da cui noi stessi dipendiamo: se le specie animali e vegetali continuano a estinguersi, come di fatto sta accadendo, verranno a mancare le condizioni di base per garantire la vita sul nostro pianeta.
La sfida dei prossimi decenni, pertanto, sarà trovare una soluzione per sfamare una popolazione di quasi dieci miliardi di persone senza portare al collasso i già estremamente vulnerabili sistemi ecologici.
Al di là delle molteplici considerazioni che possono essere fatte, il dato allarmante, di cui poco si parla, riguarda proprio il fatto che siamo in troppi rispetto alle risorse della Terra.
Come risolvere questo problema?
Si potrebbe pensare che imporre un diktat al riguardo nei Paesi occidentali, che già contengono di media più o meno spontaneamente il numero delle nascite, non sia sufficiente a cambiare le cose. E accusare invece un intero continente, come l’Africa, di non prendere affatto in considerazione il problema, vista la tendenza degli africani a riprodursi a ritmi vertiginosi.
E qui scatta l’ovvia e inevitabile risposta dei Paesi che da poco hanno conosciuto l’occidentalizzazione: «Ma come? Voi avete potuto fare tutto, grazie alla tecnologia, al progresso, e a noi lo fate annusare e basta? Le nostre auto sono troppe? I nostri figli sono troppi? Andate a quel paese».
E hanno ragione, non c’è che dire.
Ma fino a che punto? E fino a che punto non possiamo contribuire anche noi, al riguardo?
Dal mio piccolo, non pretendo di avere soluzioni a problemi di così larga scala. Convincere l’intera Africa – e parecchi Paesi asiatici – a mettere al mondo meno figli per salvare il clima sarebbe un’impresa titanica.
Tuttavia ci sono azioni fattibili, a livello di politica estera, che basterebbe intraprendere: ad esempio, mettere a punto un piano innovativo, o soltanto lungimirante, per rallentare la crescita demografica in Africa, diffondendo l’accesso alla contraccezione e alle cure mediche in generale. E poi puntare molto sulle donne africane, perché possano essere loro a decidere, attraverso l’educazione, la cultura, il miglioramento delle loro condizioni sociali, economiche e politiche.
Insisto, non ho soluzioni onnicomprensive. Però non per questo possiamo ignorare il problema, fingere che le colpe stiano da un’altra parte: tutti siamo responsabili dei cambiamenti climatici, e tutti possiamo agire oggi, e in fretta, per contrastarli.
Mettere al mondo meno figli per salvare il clima, anche in occidente, è diventato necessario.
Questo perché certi processi, come il fare arrivare la consapevolezza che mettere al mondo figli è grave, non hanno alcun tipo di acchito dove la cultura, la scienza, il senso di responsabilità sono soltanto parole prive di senso.
Pensavo, la scorsa settimana, costretta a letto dall’influenza, a quanto sarebbe stato bello poter uscire: delle soleggiate giornate mi strizzavano l’occhio dalla finestra, il cielo era terso, limpido. Là fuori c’era la vita, io invece non potevo goderne che una vista da lontano. Triste, no?
Ora, non intendo dire che sia lo stesso rinunciare a una giornata di sole rispetto a rinunciare al mettere al mondo figli: sono due cose diversissime, ma con un denominatore comune, che i latini esplicitavano con le parole Ubi maior minor cessat. Che, tradotto in soldoni, significa: se qualcosa diventa più urgente, per quanto ti piacerebbe e sarebbe per te importante farlo, tocca lasciar perdere.
Così si esprime al riguardo Natan Feltrin nel saggio Umani troppo umani, Eretica edizioni 2018:
L’etica riguarda ogni comportamento che possa includere una relazione con altri enti aventi degli interessi, così quel che un individuo fa del e col proprio corpo lo fa sempre in un Mondo e in una relazione con innumerevoli altri. Oggi il numero di figli procreati, come il tipo di alimentazione adottata, non può più dirsi semplicemente questione di gusto esattamente quanto non è più considerabile una scelta personale importare specie aliene illegalmente o esimersi dal fare raccolta differenziata. Date le nuove acquisizioni scientifiche, nessuno può più dirsi affrancato dal tribunale del buon senso, in quanto de gustibus disputandum est!
Claudia Maschio