Dario Fo e il suo racconto della “Morte accidentale di un anarchico”

Dario Fo Morte accidentale di un anarchico

L’arte è un fatto politico, nel senso più ampio della politica come cosa umana. Dario Fo, in questo senso, è stato uno dei più grandi artisti del Novecento.

Era la voce dissonante – e per questo, più che mai melodiosa – dell’Italia che usciva dal fascismo, andando incontro a incertezze, compromessi, terrorismo e la ricerca sfrenata di un nuovo modo d’agire politico.
In un periodo così conflittuale come il secondo Novecento italiano, il caso dell’anarchico Pinelli ha, come l’opera di Fo, scosso le coscienze e turbato gli animi del paese. Non sorprende che il racconto più vivo di questo caso sia proprio di Dario Fo: Morte accidentale di un anarchico.

Morte accidentale di un anarchico: una commedia da quaranta processi

Dario Fo e Franca Rame, sua moglie, operarono un enorme lavoro di ricerca sul caso dell’anarchico Pinelli.
Giuseppe Pinelli era un ferroviere anarchico. Accusato della strage di Piazza Fontana, fu trattenuto oltre le 48 ore legali in custodia. A ciò segue la sua morte, che per Fo e Rame è un omicidio: fatto sta che Pinelli cade, o viene spinto, da una finestra. Di questo omicidio fu accusato il commissario Luigi Calabresi, a sua volta ucciso da militanti di Lotta Continua proprio in risposta alla morte di Pinelli.
Fatto sta che le teorie sulla morte di Pinelli sono tante, dal malore a un omicidio colposo – e il suicidio inscenato per, quindi, nasconderlo.
Non era lui, comunque sia, il responsabile della strage di Piazza Fontana, ad opera dei neofascisti di Ordine Nuovo.



Dario Fo e Franca Rame rimasero molto colpiti da questa storia. Rappresentarono, per la prima volta, questa commedia a Varese, il 5 dicembre nel 1970. Da quel momento in poi, lo spettacolo causò più di 40 processi alla coppia, che per poterla rappresentare spostò l’ambientazione negli Stati Uniti degli anni ’20, sostituendo alla figura di Pinelli quella di Andrea Salsedo, amico di Bartolomeo Vanzetti.

Il Matto, il commissario e quei due finali

Il protagonista è un Matto, il quale soffre di istriomania: non può fare a meno di fingere di essere altre persone. Viene portato in questura per le sue continue finzioni e presto rilasciato dal commisario Bertozzo. Intanto, però, il Matto ha letto dei documenti sulla morte di un anarchico e, per dar sfogo alla sua istriomania, decide di fingersi un ispettore del ministero venuto ad indagare sul caso. Mette così sotto torchio il questore e un altro commissario, Sportivo – la trasposizione di Calabresi.

La commedia da qui procede, con il susseguirsi di altre figure e di altri travestimenti del Matto, fino a giungere a due finali: il primo, con l’arrivo del vero ispettore dopo la morte del Matto – ovviamente “cadendo” da una finestra; il secondo, alternativo, in cui il Matto parla direttamente con il pubblico, chiedendo la verità sul caso Pinelli.

Dal 1970 al 1973 la coppia Fo-Rame modifica più volte il lavoro, per un totale di tre stesure. L’opera segnò il ritorno di Fo alla farsa, dopo il periodo legato al teatro di strada con il suo collettivo La Comune. Il Matto è un personaggio tipico del teatro di Fo, alter ego dell’autore, noto per la sua funzione narrativa: è a lui che spetta dire la verità più scomoda e fastidiosa.

La “Morte accidentale di un anarchico” di Dario Fo ci insegna qualcosa di interessante. In effetti, non sono forse etichettati come Matti, quelli che parlano senza preoccuparsi delle conseguenze? Quelli che cercano la verità a tutti i costi, senza timori – o mettendoli da parte, perché la ricerca della verità chiede il meglio che si può al nostro essere umani. Essere matti, forse, non è un difetto: forse è un atto di coraggio.

Giulia Terralavoro

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