L’Africa torna a sanguinare. Questa volta a tingere di rosso la terra del continente è il sangue di centinaia di civili etiopi massacrati nella città di Mai-Kadra, nella regione del Tigré, dove dal 4 novembre si assiste a scontri sempre più frequenti tra le Forze di Difesa Etiopi (EDF) e le milizie fedeli al Fronte Popolare di Liberazione del Tigré (TPLF).
Mai-Kadra, teatro di una mattanza
Nella notte del 9 novembre, uomini armati hanno attaccato la città di Mai-Kadra, nella zona sud occidentale della regione del Tigré. Il giorno successivo, le prime luci dell’alba hanno illuminato una carneficina: per le strade lo strazio di corpi massacrati a colpi d’ascia e di machete. Lo scempio di persone ferite con armi affilate, legate per i piedi e trascinate dai risciò. Secondo i media statali sono stati contati 500 cadaveri. Erano lavoratori giornalieri di etnia Amhara, che nulla avevano a che fare con il conflitto in corso nella regione.
Secondo le parole dei testimoni “le strade erano disseminate di cadaveri, soprattutto nel centro della città e sulla strada che collega Mai-Kadra a Humera”. Quelli che, la mattina del 10 novembre, sono stati tra i primi ad arrivare sulla scena della strage hanno ancora negli occhi scene scioccanti. Difficilmente riusciranno a dimenticare “i molti cadaveri intrisi di sangue” che ingombravano le strade.
È praticamente impossibile verificare le notizie che arrivano dal Tigrai: per ordine del governo di Addis Abeba nessuno può accedere alla regione, le linee telefoniche non funzionano ed è stato sospeso l’accesso a internet. Ma la conferma arriva da Amnesty International che, attraverso un attento lavoro, ha potuto accertare l’autenticità, la data e il luogo delle foto e dei filmati giunti in suo possesso.
Chi sono i responsabili della strage di Mai-Kadra?
L’organizzazione non si sbilancia nell’attribuire la responsabilità di questa mattanza, ma nel suo report raccoglie le testimonianze di superstiti che raccontano di essere stati attaccati dalle forze dei ribelli tigrini. Secondo quanto riportato, il massacro di Mai-Kadra sarebbe una rappresaglia attuata dalle forze armate del Fronte Popolare di Liberazione del Tigré, dopo aver subito una cocente sconfitta militare nella giornata di lunedì 9 novembre. Il leader del TPLF, Debretsion Gebremichael, destituito nei giorni scorsi dal governo federale, ha negato ogni coinvolgimento nel sanguinoso attacco.
I rifugiati in Sudan danno invece un’altra versione dell’accaduto. I profughi intervistati da Reuters nella città di Al-Fashqa, lungo il confine con l’Etiopia, hanno raccontato di essere fuggiti nel cuore della notte per paura di essere catturati e uccisi dai militari dell’esercito federale.
Le testimonianze descrivono un quadro raccapricciante: attacchi aerei, sparatorie, soldati urlanti armati di machete, corpi zuppi di sangue riversi per le strade. Una testimone sfuggita all’assalto ricorda così quella terribile notte: “Hanno ucciso tutti quelli che dicevano di essere di etnia tigrina. Ci hanno rubato tutti i risparmi, il bestiame e il raccolto. Siamo scappati portando con noi solo quello che avevamo addosso”.
I sudanesi che vivono lungo il confine hanno confermato di aver udito i boati degli attacchi aerei del governo etiope nel Tigré. Addis Abeba non smentisce, affermando di aver colpito solo obiettivi militari.
Il Nobel per la pace Abiy Ahmed dichiara guerra al Tigrai e provoca una crisi umanitaria
Le operazioni militari nel Tigré sono iniziate il 4 novembre, quando il primo ministro etiope ha dichiarato guerra al governo della regione, in risposta a una serie di attacchi da parte delle milizie regionali ai danni della base militare dell’esercito governativo nella città di Mekelle. Da allora gli scontri si sono intensificati, in un climax crescente di crudeltà e barbarie in cui si mischiano le aspirazioni indipendentiste del Fronte Popolare di Liberazione del Tigré e le tensioni etniche che scuotono il paese.
Secondo l’Agenzia ONU per i Rifugiati (UNHCR) più di 11.000 persone hanno già cercato rifugio nel vicino Sudan, 7.000 solo dopo il massacro di Mai-Kadra. Mentre nei centri per i rifugiati lungo il confine mancano già i beni di prima necessità, il Sudan si prepara ad accogliere oltre 200.000 profughi nelle prossime settimane.
Il conflitto del Tigrai rischia di infiammare il Corno d’Africa
Nel Tigrai, più di 2 milioni di persone dipendono dagli aiuti umanitari. Attualmente però l’accesso alla regione è negato, non solo ai giornalisti, ma anche alle organizzazioni umanitarie, che non possono più far arrivare cibo e medicine in una regione dove regnano la fame e il terrore. L’ONU si è già rivolta al governo etiope affinché permetta “l’accesso immediato e senza ostacoli al Tigré”. È solo questione di tempo prima che la crisi umanitaria, generata dal conflitto, raggiunga proporzioni catastrofiche nel secondo paese più popoloso dell’Africa, con forti ripercussioni a livello internazionale. Il timore è che la crisi si diffonda presto non solo nel paese, ma nell’intera regione del Corno d’Africa, investendo Eritrea, Somalia, Sudan. Per questo le Nazioni Unite, l’Unione Africana e altre organizzazioni hanno imposto il cessate il fuoco.
Ma il primo ministro, Abiy Ahmed non cede alle richieste internazionali, sostenendo che non si può negoziare con il TPLF. Un triste capovolgimento per il leader politico: insignito nel 2019 del premio Nobel per la pace, si trova ora a a capo di un paese spazzato dai venti della guerra civile.
E mentre l’ONU parla di crimini di guerra e apre un’inchiesta, il conflitto si è già internazionalizzato. I miliziani tigrini hanno infatti rivendicato la responsabilità dei bombardamenti che, nella notte di sabato, hanno colpito la capitale dell’Eritrea, Amsara. Il paese sarebbe colpevole di combattere al fianco delle truppe governative.
L’Africa torna a sanguinare
Il Tigrai è quindi una polveriera pronta a esplodere, e a pagarne il prezzo sono i civili, vittime di violenze indicibili, costretti ad abbandonare tutto e a fuggire nascosti nella notte, a scappare a piedi o con mezzi di fortuna, col fiato nemico sul collo. Donne, bambini, uomini vanno incontro a un destino incerto, ammassati nei centri per i rifugiati, a lottare per cibo e acqua. I più fortunati. Chi non ce la fa invece resta lì, il corpo brutalmente martoriato, opera macabra di quella bestia disumana che è l’uomo.
Camilla Aldini
Vi invitiamo a partecipare alla manifestazione organizzata dalla Comunità Etiope di Roma “IN DIFESA DELL’ETIOPIA”, per condannarele fake news e le tante bugie fabbricate e propagate dai simpatizzanti e dai sostenitori del TPLF e da alcuni media, giornalisti e organizzazioni internazionali, con l’intenzione di screditare lEtiopia e il suo popolo. La manifestazione si terrà giovedì 4 marzo 2021, dalle ore 14 alle ore 18 in Piazza Montecitorio.