Red period: il rosso delle mestruazioni tra i colori Pantone
Una nuova tonalità di rosso è stata inserita tra i famosi colori Pantone: si chiama Red period, rosso mestruazioni.
L’azienda statunitense Pantone è nota nel mondo per il suo sistema di identificazione e catalogazione dei colori. Per la creazione del nuovo colore ispirato e dedicato alle mestruazioni, Pantone ha collaborato con Intimina, marchio svedese di prodotti dedicati al ciclo mestruale e alla salute intima. Il nuovo colore viene presentato dall’azienda come: “una nuova tonalità di rosso creato per rompere lo stigma attorno alle mestruazioni e promuovere la positività mestruale”.
La presentazione del nuovo red period ha fatto inevitabilmente discutere, come accade ogni volta che si porta alla luce un argomento considerato per molti versi un tabù. E per quanto riguarda le mestruazioni, di tabù ce ne sono ancora molti, troppi. Ma il lancio del nuovo colore è davvero un’innovazione sociale o una pura e semplice strategia di marketing?
Il colore del sangue mestruale tra stigma sociali e marketing
Che un’azienda come Pantone decida di inserire nel suo catalogo un colore dichiaratamente dedicato al ciclo mestruale, non è cosa da poco. La nuova tonalità di rosso, infatti, si inserisce in una campagna che vuole incoraggiare tutti, indipendentemente dal proprio sesso biologico, a conversare più onestamente e liberamente in merito alle mestruazioni.
“Una tonalità di rosso attiva e avventurosa, il valoroso colore Red Period incoraggia le persone con le mestruazioni a sentirsi fiere di ciò che sono. A possedere il proprio ciclo con autostima; ad alzarsi in piedi e celebrare con passione la forza vitale con cui sono nate; a spingere chiunque, indipendentemente dal proprio genere, a parlare apertamente di questa funzione naturale del corpo”
Queste sono le parole con cui Pantone presenta il colore “Period” sul proprio profilo Instagram. Parole che indubbiamente vogliono trasmettere un messaggio di rottura con gli schemi tradizionali attraverso i quali siamo abituati a vedere rappresentate e narrate le mestruazioni.
Basti pensare alle pubblicità degli assorbenti. Quanto spesso ci capita di vedere il flusso mestruale rappresentato con un autentico color rosso sangue? La spiegazione ad una risposta lampante si nasconde tutta in quel velo di vergogna e disagio che ricopre l’argomento.
E proprio per questo, è indubbia la necessità di spogliare le mestruazioni dal disonore immeritato di cui vengono ricoperte. L’unico modo per farlo, è continuare a parlarne e rappresentarle senza alcun filtro. In questo, la mossa creativa di Pantone si indirizza sulla buona strada. Eppure, senza la collaborazione con un brand dedicato al ciclo mestruale, la strada sarebbe stata la stessa?
Vendere un messaggio ed incombere nel “commodity feminism”
Il rischio di sfruttare messaggi positivi o innovativi in partnership commerciali è molto alto: l’idea, per quanto valorosa essa sia, può venire eclissata dalle dinamiche di marketing. E può perdere così tutto il suo valore. Il caso Pantone, in questo senso, sarebbe solo l’ultimo di una lunga lista.
Più il target di riferimento è sensibile, più il gioco diventa pericoloso. Perché rischia di minare l’intero percorso di confronto e di sensibilizzazione su temi difficili e troppo spesso stereotipati.
Attuali e sentiti più che mai, i messaggi femministi, svuotati di ogni loro significato e ridotti a slogan, creano engagement e fanno vendere.
Quello che il consumatore pensa di comprare è l’idea di un cambiamento sociale. Quello che in realtà compra è il risultato del cosiddetto commodity feminism. Un “femminismo” strategico e commerciale che riduce le cause femministe a etichette, appiccicate dalle aziende ad un determinato prodotto. Siamo continuamente soggetti e vittime di questa commercializzazione del femminismo.
Quando una marca di assorbenti ci viene suggerita come nostra alleata anche contro quel “cattivo umore” da cui siamo affette durante il ciclo, si rischia di mercificare un antico stereotipo . E quando un marchio ci ricorda che siamo libere di scegliere se depilarci o meno, sarà più facile acquistare il rasoio che ha appena messo in commercio. Oppure, se un brand propone una campagna in cui viene celebrata la bellezza naturale, compreremo volentieri il prodotto di bellezza che pubblicizza e che non può assolutamente mancare nella nostra routine. E se, ad esempio, una linea di costumi punta sul concetto di diversità ma utilizza solo una taglia nelle immagini che propone, non riusciremo mai a normalizzare veramente la naturale diversità dei corpi.
Il commodity feminism è una strategia di marketing mirata a rendere il femminismo “pop”. A tingere di superficialità le battaglie sociali che esso porta avanti, rendendo accettabili gli stessi standard oppressivi che afferma di voler combattere.
Il commodity feminism è una vera e propria illusione
Un’illusione che rende sempre più difficile distinguere un’ideologia dalle dinamiche di marketing e vendita in cui è inserita. E mette a repentaglio anche strade come quella percorsa da Pantone, in collaborazione con l’azienda Intimina.
Guardato con questa consapevolezza, Red period è davvero il risultato di una mera tattica commerciale oppure simboleggia un autentico messaggio sociale?
Carola Varano