Un fondo di investimento legato ai figli degli oligarchi russi, Petr Aven e Vadim Moshkovich, è coinvolto nella maxi acquisizione di Twitter, ora ribattezzato X, da parte di Elon Musk.
«Il motivo per cui ho acquisito Twitter è perché è importante per il futuro della civiltà avere una piazza digitale comune, dove un’ampia gamma di punti di vista può essere discussa in modo sano, senza ricorrere alla violenza». E’ con queste parole che nel 2022 Elon Musk spiegava la decisione di acquisire il popolare social network di microblogging per la cifra record di 44 miliardi di dollari.
A suo tempo, per portare a termine la gigantesca operazione finanziaria, il visionario imprenditore che ora sogna di colonizzare lo spazio aveva creato tre aziende nello Stato del Delaware, tutte sotto il nome di X Holdings (X Holdings I, II e III). Di queste, X Holdings II era stata pensata per inglobare la Twitter, Inc. fondendosi con essa e acquisendone anche il nome, X Holdings III per prendere in carico la montagna di prestiti accordati a Musk da alcune banche e fondi di investimento, utili a portare a termine l’acquisizione. Mentre X Holding I avrebbe assunto il controllo della neonata holding company.
A distanza di due anni dal quel passaggio di proprietà vissuto in chiaroscuro – con Musk la piattaforma, poi ribattezzata “X”, ha perso il 71% del suo valore in borsa – si scopre che tra gli investitori che aiutarono il miliardario amico di Trump a “liberare l’uccellino” dalla gabbia del politicamente corretto e della “dittatura ideologica” nella quale era sprofondato Twitter, figura un’importante società di venture capital, 8VC, con sede negli Stati Uniti, che include tra i suoi azionisti i figli degli oligarchi russi Petr Aven e Vadim Moshkovich, entrambi sanzionati dall’UE e dalla Casa Bianca a causa delle loro amicizie con l’élite politica russa.
A rivelarlo è un documento del tribunale distrettuale degli Stati Uniti per il distretto settentrionale della California, come riportato dal Washington Post. La divulgazione dell’elenco degli azionisti con una partecipazione nella società X Corp. è il risultato di una causa intentata da ex dipendenti di Twitter che hanno accusato direttamente Elon Musk di aver violato i loro accordi di arbitrato non pagando loro determinate commissioni dopo l’acquisto della piattaforma social.
Su X il free speech difeso da Elon Musk parla sempre più russo
Finora, i nomi dei due giovani consoci di Elon Musk nella X Corp. erano rimasti nascosti nei registri degli azionisti, ma a sottrarli all’anonimato ci hanno pensato la sentenza di un tribunale federale statunitense e un articolo apparso sulla patinata rivista statunitense Fortune.
Jack Moshkovich e Denis Aven sono figli rispettivamente di Vadim Moshkovich e Petr Aven, entrambi figure di spicco del panorama imprenditoriale russo. La fortuna Moshkovich è legata soprattutto al settore agricolo russo e alla Rusagro, una delle più grandi aziende dell’agroalimentare nazionale. Moshkovich vanta, inoltre, un passato in politica avendo fatto parte del Consiglio della Federazione, la camera alta del parlamento russo, dal 2006 al 2014. Proprio i suoi legami con il Cremlino lo hanno reso un bersaglio di sanzioni da parte dell’Unione Europea dopo l’invasione russa dell’Ucraina.
Petr Aven è invece il presidente di uno dei più grandi consorzi finanziari e industriali della Russia, il Gruppo Alfa. Come Moshkovich, anche Aven è stato preso di mira dalle sanzioni occidentali, a causa dei suoi stretti rapporti con il regime russo.
Ma se le fortune dei rispettivi padri sono legate indissolubilmente alla Russia di Vladimir Putin, quelle dei due rampolli di casa Moshkovich e Aven, nascono, invece, in terra straniera e precisamente negli Stati Uniti, dove i due lavorano per 8VC.
Jack Moshkovich è entrato a far parte del fondo di venture capital nel 2018, ottenendo la residenza permanente nel Paese soltanto quest’anno. Diversa sorte è toccata a Denis Aven che è approdato in 8VC soltanto nel 2022, a causa delle difficoltà incontrate nel trovare un impiego stabile per la presenza del padre negli elenchi delle sanzioni occidentali ben prima della guerra tra Mosca e Kiev.
Dopo la pubblicazione dell’elenco di azionisti collegati all’affare Musk-Twitter, a gettare acqua sul fuoco è intervenuto anche Joe Lonsdale, fondatore di 8VC e amico dell’imprenditore originario del Sudafrica, dichiarando che il valore delle persone si misura sulla base delle loro qualità e non dal peso dei loro cognomi.
Tuttavia, ì la presenza di Jack Moshkovich e Denis Aven in un importante fondo di investimento americano, non può che sollevare interrogativi sull’entità dell’influenza russa nei circoli dell’apparato militare-finanziario occidentali. Soprattutto perché 8VC ha nel suo portafoglio azionario società che vantano ricchissimi contratti di fornitura con il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti e la NATO.
Il rapporto controverso tra Elon Musk e Mosca
In passato, Elon Musk è stato spesso definito un cavallo di Troia del Cremlino negli Stati Uniti, pronto a lavorare contro gli interessi di Washington (che sponsorizza la sua attività vedasi i rapporti tra la NASA e SpaceX) e del mondo democratico nel suo complesso per agevolare il regime russo.
Un’accusa, questa, che è tornata a circolare prepotentemente dopo l’invasione russa dell’Ucraina quando il proprietario di X ha spento la sua rete di satelliti Starlink impedendo alle truppe di Kiev di cogliere di sorpresa i soldati di Mosca in Crimea. E ancora quando ha autorizzato le forze armate russe ad accedere ai servizi di comunicazione della rete gestita da SpaceX. Una decisione che la società ha sempre negato senza troppo convincimento. Ma soprattutto da quando il proprietario di X ha deciso di schierarsi dalla parte dell’ex presidente Donald Trump nella campagna per le presidenziali 2024.
Negli ultimi mesi, il patron di Telsa e SpaceX insieme al cofondatore di Palantir – quello stesso Joe Lonsdale proprietario di 8VC – e al venture capitalist Doug Leone, ha donato milioni di dollari a un super PAC (Political Action Commitee) che sostiene la candidatura alla Casa Bianca del tycoon diventato insieme al presidente russo l’idolo dei populisti nel mondo.
E adesso la notizia di investitori collegati al Cremlino attraverso il fondo 8VC, a sua volta coinvolto nell’acquisizione di Twitter da parte di Elon Musk non fa altro che accrescere la grande paura del controllo dell’influenza russa nei mercati globali, iniziando dal giardino di casa americano.
L’idea che tra i “veri proprietari” di X ci possano essere uomini vicini a Putin non fa altro che confermare l’immagine di una controversa leadership di Elon Musk alla guida del social network, dopo gli ultimi cambiamenti radicali voluti dallo stesso patron di SpaceX e Tesla (licenziamenti di massa, spunta blu a pagamento) che hanno già spinto milioni di utenti a rivolgersi alla concorrenza rappresentata da Bluesky, Mastodon e Threads di Meta.
Dopo l’arresto del boss di Telegram trema anche Musk
Con l’acquisizione di Twitter, Elon Musk, ha investito tantissimi milioni di dollari per rendere la piattaforma uno strumento fondamentale per la libertà di parola, anche se ha tradito in più occasioni la parola data. Da privato cittadino, il proprietario di X ha tutto il diritto di parteggiare per un candidato alla presidenza e di essere quindi coinvolto nella politica americana.
Ma la sua esposizione nella campagna presidenziale al fianco di Donald Trump così come la visibilità concessa agli amministratori delegati del super PAC sulla propria piattaforma, esige un costo da pagare. La presenza di Moshkovich e Aven junior nella lunga lista di azionisti potrebbe essere una parte di questo tributo soprattutto dopo l’intervista-flop fatta dallo stesso Musk a Trump non senza alcuni disguidi qualche settimana fa su X.
La sensazione è che l’eccentrico miliardario americano possa rimanere invischiato in un potenziale scandalo, magari confezionato ad hoc nel momento più delicato della campagna elettorale americana. Se ciò fosse vero, Trump potrebbe perdere un prezioso alleato nella corsa contro Kamala Harris che nelle ultime settimane ha rivitalizzato uno spento partito democratico dopo il ritiro di Joe Biden.
Elon Musk ha annusato il pericolo ed è già passato al contrattacco. Dopo l’arresto in Francia di Pavel Durov, fondatore e ceo di Telegram, accusato di aver reso il servizio di messaggistica istantanea un luogo di impunità non solo virtuale, il numero uno di X ha parlato di tempi “pericolosi” per la libertà mettendo le mani avanti con una battuta lapidaria: “Dopo Telegram tocca a noi? Al 100%”.
Tommaso Di Caprio