Benvenuti a Pechino: capitale delle tribù di ratti.
La Cina è boom economico, ma anche metropoli sovrappopolate, in cui sormontate dalla cappa di smog, dagli spostamenti di milioni di persone e da un traffico congestionato, esistono città dentro… anzi sotto, la città.
In Cina, nei sotterranei di metropoli dove non c’è più spazio per nessuno in superficie, una tribù di ratti a Pechino ha messo su una città tutta per sé: sperano di ricostruire prima o poi le loro vite.
Immagina di uscire da lavoro – appena terminato il turno di dieci ore in ufficio – per rientrare a casa; lungo il tragitto, vorresti prendere un po’ d’aria fresca, dopo l’intera giornata trascorsa al chiuso davanti allo schermo di un pc oppure in fabbrica; solo che abiti a Pechino, e la cappa di smog, l’ingorgo del traffico che trovi appena metti piede fuori dall’ascensore, cozzano con le tue aspettative.
Allora pensi a casa tua: certo è un po’ piccolina, un monolocale a tutti gli effetti, però è calda, pare quasi fatta su misura per te, ed è il tuo angolo di paradiso.
“Il mio nome è Wen Ma, ho ventott’anni, sono nata a Pechino – e ora vivo sottoterra.”
Definirle “case” può sembrare effettivamente un eufemismo, eppure sono un milione le persone a Pechino che “rincasano” sottoterra. Si tratta di spazi che – per legge – si trovano sottostanti a tutti gli edifici costruiti fra gli anni ’60 e ’70: una specie di città nella – anzi sotto – la città.
“Ho rinunciato al sole, alla luce del giorno, per un luogo freddo e umido.” – Wen Ma
Tali infatti sono solitamente le condizioni in cui ognuno – di quel milione di “ratti” nascosti sotto i piedi di 24 milioni di abitanti totali a Pechino – vive. O meglio, sopravvive.
Certo, ci sono delle eccezioni:
“Questo genere di stanza non è così male… perché almeno c’è una finestra. E puoi guardare un po’ il cielo.”
– Wong Xu, 32 anni, un ex abitante della Pechino sotterranea.(Solo che quel cielo, è sempre quello soffocato dallo smog di quando hai lasciato l’ufficio…
Ma questa finestra sì, è un vero lusso.)
Tribù di ratti in Cina, è un termine comparso da un po’ di anni su Internet, anche se pronunciarlo davanti a Wen Ma – così come probabilmente per chiunque dei suoi “vicini di casa” – è chiaramente umiliante, negativo.
Come si è arrivati a questo punto?
La maggior parte dei ratti a Pechino proviene dalla provincia: si trasferiscono in città in cerca di grandi possibilità, di lavoro, di guadagno – nonostante qui i loro salari finiscano comunque per essere minimi: è questo uno dei motivi ovviamente, per cui poi si ritrovano a vivere in tuguri sottoterra.
Ma c’è anche chi – come appunto Wen Ma – è nato e ha sempre vissuto a Pechino: Pechino, che ha una popolazione pressoché identica a quella dell’Australia – distribuita però su una superficie che è quasi 470 volte più striminzita. Il boom economico cinese – quello che incute timore a Stati Uniti e Unione Europea – fa ancora più paura a certi pechinesi forse: ha portato a un quadruplicarsi degli abitanti (non erano che 6 milioni cinquant’anni fa), a cui tuttavia l’edilizia urbana non è riuscita a rispondere. Inoltre, il prezzo dei terreni è aumentato, e in ogni caso questi vengono destinati per lo più a uffici, aziende, negozi, ristoranti… – certo non a ospitare le persone.
La città è perciò congestionata, il traffico può rendere il tragitto casa-lavoro questione di ore, tre o quattro persino: ecco perché per alcuni diventa decisamente più conveniente magari, abitare proprio sotto, il proprio ufficio.
Negli ultimi anni la situazione è addirittura peggiorata: non è solo il numero degli abitanti – e conseguentemente quello dei “disperati” che devono arrangiarsi da qualche parte per vivere – a essere aumentato: anche il prezzo degli appartamenti-buco è salito, e oggi è con l’equivalente di 150€/mese che potresti permetterti i tuoi 6 mq²…
“Tuoi” – ma mica poi tanto: può capitare infatti di dover dormire fianco a fianco con un coinquilino – per dimezzare la spese – oltre all’inconveniente del bagno da condividere con le altre centinaia di individui attorno a te. All’acqua calda spesso si ha accesso con una carta prepagata, e la richiesta è tale che nella città-sotto-la-città si sono ormai creati addirittura più livelli: in un sotterraneo, possono trovarsi 600 inquilini distribuiti su tre piani – un vero e proprio condominio per ratti.
Dove vivono a Pechino le tribù dei ratti?
In tane, ovviamente…
Gli spazi sono chiaramente minuscoli, perennemente bui, insalubri, umidi: un milione di persone che vive quindi in condizioni di precarietà sociale, economica, ma soprattutto igienica e della salute.
“Ti mostro una cosa: quasi tutti, quando vengono ad abitare qui, cambiano la carta da parati. Sai, per ripulire un po’ l’ambiente… Ognuno ricopre la carta precedente. Non so nemmeno più quanta ne ho comprata io…” – Wong Xu
E infine, la loro è anche una precarietà abitativa: da qualche anno il sindaco Chen Jining ha infatti deciso di liberarsi delle tribù di ratti a Pechino. Sono iniziate le operazioni di sgombero – i telegiornali parlano di “evacuazioni di sicurezza” – di numerosi spazi occupati illegalmente. Il Governo e le autorità vogliono probabilmente mostrare il loro impegno nel contrastare questo fenomeno, che coinvolge non solo lavoratori, ma a volte intere famiglie con bambini. Allora quando la Polizia passa, distrugge tutto l’ambaradam dei letti di fortuna, dei cavi sospesi, delle nicchie in cui custodire i propri effetti – il messaggio è chiaro: dovete sgomberare.
Più che preoccupazione per l’incolumità e le vite delle tribù di ratti, secondo alcuni si tratta di vere e proprie espulsioni: è il modo per provare a regolare e tenere sotto controllo il numero degli abitanti. Un metodo che comunque non rappresenta evidentemente ancora la soluzione, visto che stanati, i topi si adattano sempre: e così, sebbene per qualcuno le maniere forti hanno funzionato, altri sono già passati a costruire le loro colonie in superficie, in bella vista, sfruttando i balconi.
Orgoglio e stigmatizzazione
“I pechinesi detestano chi viene dalle provincie…”
…o comunque c’è un sentimento di disprezzo: questo è ciò che si percepisce. Spesso i ratti si sentono come degli stranieri nel proprio Paese: arrivati in città, è diversa la lingua – il mandarino anziché il dialetto – ed è diversa la propria posizione nella società (letteralmente…). Questo senso di stigmatizzazione può influire oltretutto sul rapporto con le loro famiglie, alle quali – chiaramente – spesso non rivelano tutta la verità delle loro nuove vite a Pechino…
Una vergogna dunque non solo per Pechino – che tenta di sbarazzarsene – bensì per gli stessi che come ratti si ritrovano costretti a vivere.
Ma alla fine, in quasi tutti i casi, nei ratti c’è comunque quel sentimento di speranza, quella convinzione – qualcuno potrebbe definirla nell’etica confuciana – che gli sforzi, la costanza, il resistere in tali condizioni, la perenne oscurità del vivere sottoterra senza distinguere il giorno dalla notte… ecco, tutto questo ripagherà.
È il caso di Wong Xu, che ratto fino al 2006, oggi gestisce un negozio di arredamento “di lusso” – come dice lui – e tornando laddove abitava prima, non ricorda nemmeno – all’interno del labirinto di loculi – quale fosse precisamente la sua stanza.
(E nel frattempo, la sua vecchia “casa” – insieme alle “tane” di chi invece era rimasto a vivere lì – è stata pure smantellata in una delle operazioni “di sicurezza”…)
Alice Tarditi