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Finanziamenti alle paritarie e tagli alla scuola pubblica: un ritorno al passato?

di Ultima Voce
16 Nov 2024
in Cultura
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Finanziamenti alle paritarie e tagli alla scuola Giornata per la sicurezza nelle scuole Scuola dei precari
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Christian Raimo Intellettuale eclettico, scrittore, traduttore e insegnante di italiano

Christian Raimo

Intellettuale eclettico, scrittore, traduttore e insegnante di italiano


I finanziamenti alle paritarie e i tagli alla scuola pubblica segnano un cambio di rotta nel sistema educativo italiano. Con 65 milioni stanziati per bonus destinati alle famiglie che scelgono scuole private, il governo riduce le risorse per gli istituti statali, lasciando intere comunità senza un punto di riferimento educativo.


Una delle notizie più recenti sul mondo della scuola è quella per cui il partito di governo Fratelli d’Italia ha presentato un emendamento alla manovra di bilancio per finanziare i bonus da 1500 euro che le famiglie potranno spendere per iscrivere i propri figli alle scuole paritarie. Il finanziamento complessivo di questo provvedimento sarebbe 65 milioni di euro.

Se vogliamo dare una misura di questo provvedimento, possiamo paragonarlo a quello per cui già da quest’anno e sempre più nei prossimi molte scuole verranno accorpate, molti plessi scolastici verranno tagliati, molte titoralità spariranno. Per un risparmio di 88 milioni di euro il ministero ha deciso di tagliare in 10 anni molte scuole, soprattutto in aree interne, province e in periferie urbane, scuole che smetteranno di essere il centro di riferimento di comunità educanti anche molto ampie: non ci staranno più, e amen.

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Questo dimensionamento della scuola pubblica e questo investimento con soldi pubblici sulla scuola privata mi fanno venire in mente la storia scolastica di mio nonno e di mio padre.

Mio nonno ha smesso di andare a scuola in terza elementare, nel 1925, anno in cui la spesa pubblica per istruzione, ricerca, università, cultura non arrivava al 4 per cento; il mio bisnonno, bracciante, non poteva permettersi di sostenere l’educazione di mio nonno, che infatti cominciò a lavorare che non aveva nemmeno dieci anni. I primi anni, fuori dalla scuola, si arrangiava con metodi chapliniani: comprava a 4 soldi cinque fogli protocollo in cartoleria e poi li ridistribuiva davanti alla scuola a un soldo l’uno; oppure comprava delle matite, estraeva l’anima in grafite, la spezzava in vari frammenti e la applicava ai bastoncini di legno, in modo da ricavare tre quattro matite ogni matita, rivendeva anche queste pseudomatite davanti scuola. A dieci anni faceva il garzone da un calzolaio, a dodici era scappato da Sarno a Roma per lavorare sempre come calzolaio a bottega, continuerà per molti anni, finché dai quaranta ai sessanta della sua vita farà l’operaio.

Da anziano, quand’era in pensione, ebbe il tempo e l’intelligenza di insegnarmi a scrivere e leggere con un metodo tutto suo, prima che andassi a scuola. Si iscrisse a 70 anni alle scuole serali per prendere il diploma di quinta elementare per orgoglio, ma poi non lo prese perché non gli piacevano gli esami. Passò gli ultimi anni della sua vita a camminare, leggere, volere bene ai nipoti, e poco altro. Il suo scrittore preferito era Thomas Bernhard, soprattutto la trilogia dell’infanzia. Anche prima di morire ricordava quanto gli fosse mancato andare a scuola.

Mio padre iniziò la scuola a quattro anni e mezzo. Lo presero in una pluriclasse, viveva in campagna in un paesino in mezzo agli Appennini sperduti, e pur di toglierlo da fame e strada lo presero a scuola con i più grandi. Mio nonno gli aveva insegnato a leggere e scrivere anche a lui prima che andasse a scuola, con un metodo tutto suo. Quando arrivò l’esame di seconda elementare, non glielo fecero fare perché era troppo piccolo. Mio nonno allora se lo riprese a casa, finché un maestro lo richiamò a scuola – era senza senso che stesse a casa con gli animali – e mio padre si tenne l’anticipo di un anno e mezzo fino alla maturità.

Si iscrisse all’università, come studente lavoratore, e finì l’università nel 1971, l’anno in cui la spesa per istruzione, ricerca, università, cultura, è stato il massimo per tutti gli anni dell’unità nazionale: 19,1 per cento.

Uno sguardo comparativo di lunghissima durata sulla spesa pubblica rivela che la percentuale per istruzione cultura ricerca università si muove tra il 3 e il 7 per cento dagli anni Trenta alla fine della guerra, sale dal 6 al 14 per cento dal 1946 al 1960, per mantenersi tra il 15 e il 20 per cento fino al 1975, e scende a un 8-10 per cento tra gli anni Ottanta e la fine degli anni Zero, da Berlusconi in poi.

La scuola fascista non era solo autoritaria, era definanziata e malamente selettiva, si salvava chi per censo poteva accedere anche alla formazione famigliare e privata; la scuola repubblicana è stata una delle più grandi avanguardie politiche e educative, poteva rovesciare o poteva provare a rovesciare i rapporti di forza tra chi poteva permettersi di emanciparsi attraverso l’istruzione e chi no.

Questo modello, che in genere definiamo gramsciano – investimento massivo dello stato, emancipazione collettiva, tronco comune lungo, canalizzazione ritardata, messa in discussione di una formazione che serva a fare e legittimare la distinzione in classi – oggi è chiaramente sotto attacco e invece è la cosa migliore che ci sia capitata in Italia.
Tags: istruzioneScuolascuola pubblica
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