Israele anche in Libano ha replicato le stesse tattiche adoperate a Gaza: bombardamenti indiscriminati contro quartieri residenziali, utilizzo dei civili come “scudi umani”, attacchi contro ambulanze, medici e paramedici, distruzione di ospedali.
Le “cinture di fuoco”
La strategia militare già adoperata ampiamente a Gaza e replicata anche in Libano consiste nelle cosiddette “cinture di fuoco”, una tattica che permette all’esercito d’occupazione di bombardare indiscriminatamente una determinata area sganciando simultaneamente decine di bombe, al fine di massimizzare gli effetti devastanti contro infrastrutture e civili.
Tale strategia militare sviluppata dal capo di stato maggiore dell’esercito d’occupazione, Avis Kohavi, nel suo piano pluriennale 2019/23 “Tnufa” (impulso), e attuata per la prima volta nel 2021 nel corso dell’operazione militare contro Gaza “Guardiani del Muro”, mira a bombardare a tappeto intere zone abitate, qualora ci sia il sospetto della presenza di un solo tunnel, con l’intento di colpire l’obiettivo, dopo svariati tentativi e decine di bombe sganciate a pochi metri di distanza l’una dall’altra.
A Gaza la tattica delle “cinture di fuoco” ha portato alla devastazione di aree densamente popolate e allo sterminio di 43.000 civili secondo le stime del Ministero della salute, ma se si considerano i numerosi dispersi e le morti provocate da malattie e cause indirette, secondo lo studio di The Lancet il numero delle vittime potrebbe anche arrivare a 186.000.
Anche negli attacchi nel Libano meridionale, Israele ha fatto un uso sistematico delle cosiddette “cinture di fuoco” e analogamente a quanto abbiamo visto a Gaza, sempre con l’obiettivo di terrorizzare la popolazione e costringerla a fuggire dalle proprie case.
Non a caso, l’assassinio del leader di Hezbollah, Nasrallah, non è avvenuta mediante un attacco aereo mirato, bensì attraverso lo sgancio di ottanta bombe “bunker buster” da 2000 libbre su quartieri residenziali, e seguendo lo stesso copione di Gaza, anche in Libano questo attacco è costato la vita a più di 300 persone.
La punizione collettiva
Ad ottobre 2023 Israele come primo atto della sua guerra genocida, tagliò in due Gaza, dichiarando il Nord zona militare e ordinando ad 1,4 milioni di persone di evacuare a sud, a Khan Younis, Rafah, Al-Bureij, al-Maghazi. Da quel momento in poi l’esercito d’occupazione iniziò a bombardare pesantemente infrastrutture civili annientando ogni segno di vita nelle zone settentrionali con la scusa che la popolazione era stata avvertita di spostarsi a sud, chiunque non fosse riuscito a fuggire, compresi bambini donne, anziani e disabili, sarebbe stato considerato un membro di “ organizzazioni terroristiche”.
Come confermato da Channel 12, uno dei canali televisivi di punta in Israele, lo sfollamento dei civili non serve a tutelarli ma rientra in una tattica di guerra psicologica mirante ad infliggere una punizione collettiva alla popolazione.
E come a Gaza anche in Libano, si è ripetuto il medesimo copione basato su pulizie etniche spacciate come ordini di evacuazione a scopo umanitario. Già all’inizio dell’invasione via terra del Libano meridionale, l’esercito israeliano ha ordinato l’evacuazione immediata di 26 villaggi, iniziando lo stesso giorno i bombardamenti per incutere terrore nella popolazione e favorire così gli sfollamenti di massa.
Civili usati come “scudi umani”
Nella guerra genocidaria a Gaza, Israele ignora la distinzione tra civile e combattente prevista dal diritto internazionale, e difatti considera come obiettivo legittimo qualunque abitante di Gaza sia “coinvolto”, ovvero abbia legami in varie forme con Hamas, quindi anche i semplici dipendenti pubblici o membri di enti di beneficenza gestiti dal governo locale.
Anche in Libano, Israele ha affermato di ritenere “affiliati” ad Hezbollah tutti coloro che sono rimasti uccisi negli attacchi con i cercapersone esplosivi, i dispositivi infatti non erano in possesso solo dei combattenti ma anche di politici, consiglieri, membri dell’ambasciata e del personale medico e amministrativo.
In Libano la narrazione per giustificare le peggiori aberrazioni è sempre stata analoga a quella di Gaza: “i movimenti di resistenza usano i civili come scudi umani”.
Quindi sia i civili innocenti sterminati nell’attacco contro Nasrallah in Libano che i palestinesi che si sono rifiutati di abbandonare le loro case a Gaza sono stati considerati scudi umani e ridotti a danni collaterali.
L’imbarazzante bugia dei missili balistici detenuti dai libanesi all’interno delle proprie case ricorda la vicenda dell’ospedale al-Shifa a Gaza dove secondo Israele una rete di tunnel conduceva ad un’enorme città sotterranea in cui si nascondevano i combattenti di Hamas.
Le menzogne atte a disumanizzare i civili creano un contesto alterato in cui Israele colpisce esclusivamente obiettivi militari, tutte le vittime o quasi sono quindi combattenti, i non combattenti sono scudi umani o morti collaterali.
Il diritto internazionale definisce come scudi umani non i civili presenti in aree dove operano i gruppi armati ma il loro posizionamento deliberato in prossimità di obiettivi militari nel corso di un conflitto. A Gaza e in Libano, tutte le aree sono densamente popolate e i gruppi di resistenza hanno un forte radicamento sul territorio, sono parte della società civile e combattono inevitabilmente tra la popolazione, ma ciò non rende in alcun modo i civili obiettivi legittimi.
Paradossalmente proprio Israele ha adoperato la pratica disumana degli “scudi umani” costringendo dei detenuti palestinesi di Gaza ad indossare uniformi israeliane per effettuare ispezioni al fine di individuare tunnel e trappole esplosive.
Attacchi contro ospedali e personale di soccorso a Gaza e in Libano
Il medico britannico di origini palestinesi Ghassan Abu-Sittah avendo prestato servizio sia a Gaza che in Libano, presso la struttura Rafik Hariri University Hospital, ha notato evidenti analogie nella strategia militare israeliana nei due contesti, a partire dagli attacchi indiscriminati contro mezzi e personale di soccorso, strutture da campo allestite per fornire le prime cure ai feriti e in aree in prossimità di ospedali.
A The New Arab il dottor Abu-Sittah ha dichiarato:
“Le dimensioni del paese sono maggiori, ma la tattica e la centralità della strategia sono identiche. Per ripulire etnicamente un’area, è necessario smantellare il sistema sanitario al suo interno. Quando si guarda al sud del Libano e ai sobborghi meridionali di Beirut, è quello che stanno facendo. Prendono di mira le aree vicine all’ospedale, bombardando gli edifici circostanti in modo che detriti e macerie si accumulino attorno alla struttura. Le onde d’urto delle esplosioni mandano in frantumi le finestre, a volte danneggiando le attrezzature mediche, rendendo l’ospedale inutilizzabile e costringendolo a chiudere”.
Il ministero della Salute libanese ha denunciato gli attacchi da parte dell’esercito israeliano contro il personale sanitario affiliato all’Autorità sanitaria islamica ma anche all’Associazione Scout Islamica Risala, vicina al partito Amal, alleato di Hezbollah, nonché contro la Croce Rossa libanese e la protezione civile.
Già due settimane dopo l’inizio dell’invasione israeliana, 37 ospedali nel Libano meridionale e a Beirut sono stati costretti a chiudere, le strutture di Marjayoun e Bint invece sono state bombardate.
Il personale sanitario degli ospedali rimasti attivi ha continuato ad operare in condizioni disperate cercando di garantire assistenza ai feriti sotto il costante timore di essere attaccato.
In Libano come a Gaza il sistema sanitario è stato messo a dura prova, dovendo fronteggiare quotidianamente un gran numero di feriti, carenza di personale medico, scarsità di medicinali e attrezzature necessarie per eseguire interventi chirurgici.
Il direttore dell’Organizzazione mondiale della sanità ha dichiarato che gli attacchi israeliani in Libano non solo hanno ucciso 28 operatori sanitari in sole 24 ore ma hanno anche impedito la consegna di un grosso carico di medicinali e materiale chirurgico e sanitario.
Come a Gaza anche in Libano gli attacchi indiscriminati e deliberati contro équipe di medici e paramedici sul campo hanno aumentato la sofferenza dei feriti e il rischio di decesso, venendo meno la possibilità di un intervento medico tempestivo che è fondamentale nella maggioranza dei casi in cui i pazienti abbiano frammenti di proiettili nel corpo o arti a rischio di amputazione.
Un aspetto chiave della retorica sionista è il tentativo di giustificare gli attacchi contro i mezzi di soccorso avanzando la tesi secondo cui i combattenti della resistenza si servano delle ambulanze per trasportare armi.
Un altro espediente per ostacolare l’ azione umanitaria, messo in atto sia nella Striscia di Gaza che in Libano, consiste nei bombardamenti contro i camion di aiuti umanitari.
Un mese fa nella zona di Baalbeek in Libano, dei camion sono finiti sotto il fuoco israeliano nonostante fossero stati autorizzati dalle Nazioni Unite e le insegne della Croce Rossa fossero ben visibili.
La ripetizione in Libano degli stessi schemi di Gaza rende palese la strategia militare israeliana fondata sulla disumanizzazione della popolazione e sul ricorso ad una narrazione fallace che assolva lo Stato coloniale di Israele dai crimini di guerra e camuffi le intenzioni genocidarie agli occhi dell’opinione pubblica internazionale.